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Il rapporto fra rugby e Olimpiadi era nato sotto una buona stella. Pierre de Coubertin, inventore dei Giochi moderni, era infatti un fervente sostenitore della disciplina, conosciuta nel corso del viaggio in Inghilterra compiuto, appena ventenne, nel 1883. Oltre Manica il barone parigino aveva ammirato il sistema educativo del collegio di Rugby nel Warwickshire, decidendo di farsi divulgatore in patria del modello elaborato da Thomas Arnold (preside lì dal 1828 al 1842) e ispirato alla Grecia classica. Si spiega così la coincidenza di valori fra lo spirito olimpico come concepito da de Coubertin e l’etica originaria della palla ovale. Ne sono i cardini rispetto profondo delle regole - fair play, in francese chevalerie - e puro dilettantismo di atleti e di tutte le altre componenti del gioco.

Ecco che quando si disputa a Parigi la prima finale del campionato francese, nel 1892, ad arbitrare è proprio il nobile di discendenza italiana, il quale mette anche personalmente in palio un trofeo a carattere di challenger annuale, ciò che diverrà più tardi il “Bouclier de Brennus”.

E’ alle seconde Olimpiadi moderne, nel 1900, che il rugby fa il suo esordio. Oltre ai francesi ospitanti sono invitati i tedeschi dello Sc Frankfurt e gli inglesi del Moseley, i quali però non riescono a trovare il numero necessario di atleti per la trasferta. I Moseley Wanderers (si è ricorso a giocatori di altri club) giungono a Parigi dopo la traversata appena tre ore prima della partita e ovviamente vengono travolti da sei mete. L’oro va ai francesi, che avevano già sconfitto a fatica il Frankfurt. E’ soprattutto un successo di pubblico: i due match al Velodromo di Vincennes hanno registrato 2.519 e 4.389 spettatori paganti.

Carroll Australia 1908
Daniel Carroll, vincitore con le maglie di Australia e Stati Uniti

Assente a Saint Louis, il rugby torna nel programma olimpico a Londra nel 1908. Gli inglesi si affidano alla squadra vincitrice dell’importante torneo delle contee, la Cornovaglia. L’unico altro paese iscritto è l’Australia. I coloni si presentano con il nome di “Wallabies”. Risultato a sorpresa: al White City Stadium, sotto pioggia battente, i trequarti australiani danno lezione segnado otto mete, score finale 32-3.

E’ alle Olimpiadi dopo la guerra, ad Anversa 1920, che il Cio affronta per la prima volta i dubbi per l’indifferenza dall’ambiente rugbistico. La sola nazione che aderisce sono gli Stati Uniti, con una squadra di studenti californiani che si sono pagati il viaggio in Europa. Gli organizzatori belgi chiedono allora di partecipare al Comitato Olimpico francese, che accetta «par pure cortoisie». Di fronte a 20mila spettatori una squadra selezionata frettolosamente fra club parigini viene superata 10-8 dagli americani, in perfetta forma fisica. Fra i medagliati figura l’australiano Daniel Carroll, già vincitore a Londra 1908 e nel frattempo trasferitosi come geologo in California.

I Giochi parigini di un secolo fa coincidono con l’ultima apparizione della palla ovale. Il Cio annota nel rapporto ufficiale il fallimento dovuto a “disinteresse della Gran Bretagna” e “impossibilità finanziaria” per il viaggio in Europa da parte di Sud Africa, Nuova Zelanda e Australia. A contendersi il podio sono così solo… tre squadre. La Romania è travolta 61-3 dalla Francia e 37-0 dagli Stati Uniti (e vince il bronzo). Il 18 maggio a Colombes la finale si gioca di fronte a 21mila spettatori. I padroni di casa vanno in affanno nel primo tempo e crollano nella ripresa, ridotti in 14 per l’infortunio dell’ala Jauréguy. Il successo va a sorpresa agli americani, che vincono 17-3 mentre, in barba al fair play, scoppia la bagarre in campo e negli spalti. Curiosità: l’allenatore degli Stati Uniti è l’australiano Carroll, che conquista dunque il suo terzo oro olimpico nel rugby, mentre fra i vincitori c’è anche l’italiano Cesare Mannelli, nato in Friuli a Forni di Sopra ed emigrato ancora bambino a San Francisco.

Cartolina Olimpiadi Parigi 1924
Cartolina delle Olimpiadi di Parigi 1924

Gli sforzi di alcuni dirigenti appassionati di far rientrare la palla ovale nel programma ufficiale dei Giochi hanno esito negativo. Per il Cio rimarrà disciplina “facoltativa” o “dimostrativa” dei Giochi e solo nel dopoguerra si ritornerà a parlare di una possibile presenza del rugby. Esiste soprattutto un vuoto di gestione politica. Chi governa la disciplina attraverso l’International Board sono gli anglosassoni, ai quali non interessa fare proselitismo di un gioco considerato simbolo dell’educazione dell’upper class, un retaggio dello stile imperiale britannico. Nata nel 1934 come federazione alternativa europea, la Fira organizza a Berlino ’36 un quadrangolare come preludio ai Giochi agostani (non riconosciuto dal Cio), ma l’organismo perde potere e obiettivi dopo la riammissione della Francia nel circuito del Cinque Nazioni.

Si deve proprio all’Italia un risveglio nei rapporti con il movimento olimpico. In vista delle Olimpiadi di Roma del 1960 si muove infatti Mauro Lais, presidente Fir e vicepresidente Fira, scrivendo a Losanna con la proposta di un torneo dimostrativo a maggio o ad ottobre. Proposta audace e affascinante (si tratterebbe di una sorta di mondiale), che trova spazio anche sulla prima pagina di “L’Équipe”. Ma il cancelliere del Cio Otto Mayer ribadisce che nella sessione di Cortina del ’56 il rugby è stato escluso con voto unanime anche dalle discipline facoltative. E ricorda che dal ’32 «non abbiamo mai avuto contatti con una federazione internazionale». Sul bollettino federale Lais chiarisce l’irrisolto problema di legittimità. «L’art. 55 elenca le Federazioni internazionali riconosciute, tra le quali non è ancora la Federation Internationale Rugby Amateur. Ciò forse, per un certo dualismo con la International Board, pure non riconosciuta dal C.I.O., cui aderiscono le Rugby Unions britanniche e dei Dominions. Da tempo ho scritto a tutte le Federazioni. […] Inghilterra, Scozia e Galles hanno già espresso il loro parere contrario al Rugby nelle Olimpiadi».

Solo con la svolta degli anni Novanta i padroni della palla ovale tornano a guardare ai Giochi come vetrina per la divulgazione del gioco su scala mondiale. Mentre l’adesione della Fira è decaduta nel 1976, l’International Board chiede di essere riconosciuta dal Cio nella sessione di Budapest del ’95 e ottiene l’ammissione definitiva due anni dopo. Il resto è storia contemporanea. L’amore mai nato fra rugby e Olimpiadi si scontra anche con insormontabili difficoltà organizzative e la scelta finale sarà l’ammissione del Seven, che permette un format più agile. Di certo, a dispetto di uno sport che vede gli stessi dominatori da sempre, la variante a sette giocatori lascia aperta un’opportunità di medaglia ad un ben più ampio novero di nazioni.
 

Ps. Il Seven è ritenuto da alcuni televisivo e spettacolare. Ma è rugby un rugby senza mischie? Quanto un asado senza carne e il rock senza chitarre. Beh, a chi scrive piace il rugby con le mischie e considera tutte le altre versioni “rugby” solo in quanto funzionali alla sua promozione.

 

Elvis Lucchese, storico dello sport, è autore di “Pionieri. Le origini del rugby in Italia, 1910-1945”, Piazza Editore.