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Michele Dalai con Marzio Innocenti - Foto Stefano Delfrate
Michele Dalai con Marzio Innocenti - Foto Stefano Delfrate

Con la fine del mese di giugno Michele Dalai ha terminato il suo mandato da Presidente delle Zebre Parma dopo due anni e appena prima di lanciare il nuovo logo e il nuovo sponsor tecnico della franchigia federale. Fir non ha rinnovato la fiducia a Dalai nominando un nuovo consiglio direttivo con nuovo presidente, l’Avvocato Domenico Bordieri, l’Avvocato Benedetto Blasi nelle vesti di VicePresidente e assegnando a Fabrizio Gaetaniello il ruolo più delicato, quello del Consigliere Delegato. I due anni di Dalai alle Zebre non sono stato certo facili, una sola vittoria in due anni indirizza le ultime stagioni delle Zebre come le peggiori in termini di risultai sportivi, che poi sono quelli che contano. Due stagioni complicate terminate non certo con una stretta di mano da come si intuisce dal post pubblicato sul profilo Instagram dello stesso Dalai.

 

“Ci sono cose che si discutono sui social ma non amo farlo, altre che si raccontano sui quotidiani (arrivano presto) e altre ancora che è meglio lasciare agli avvocati. Distruggere un progetto e tradire la parola data è una scelta precisa che richiede risposte adeguate. È solo questione di tempo e decenza”.

 

L’imprenditore milanese aveva quindi annunciato battaglia legale salvo poi cancellare il post in un secondo momento. Il racconto sui quotidiani è invece arrivato, da Il Foglio l'ex presidente delle Zebre racconta il suo periodo alla Cittadella del Rugby e i rapporti con Fir paragonando la sua storia alla serie di Apple TV “Ted Lasso":


“Per due anni sono stato Ted Lasso, più o meno consapevolmente. Non ho il talento di Jason Sudeikis e non sarei mai riuscito a immaginare una storia come la sua ma la conosco bene, alle Zebre ho conosciuto benissimo la sensazione dell’alieno nel tempio, del turista tra i fedeli”

“Come Ted Lasso sono arrivato alla mia squadra per caso, nessun progetto, nessuna programmazione ma la stessa intenzione della proprietà: mettiamoci uno a caso, non può che andare male. Lasso allenava una squadra di football americano e di calcio sapeva poco o nulla. Io facevo l’editore e ho diretto aziende nel mondo dei media, di rugby giocato sapevo giusto quello che si impara al bancone dopo la quarta media chiara. Sapevo gestire aziende e gruppi di lavoro, quello sì”.


“Può capitare che di tanto in tanto vinca il più scaltro ma in genere è difficile. Lo sapevano tutti fin dal giorno uno ma è divertente vederli strapparsi le vesti e cercare colpevoli e cause. Abbiamo perso perché gli altri erano più forti, punto”.

Le Zebre sono state promesse a chiunque e stanno male ovunque perché come disse uno bravo sono ‘la squadra meno amata da chi la possiede’.

“Se però a darti del segaiolo son quelli che dovrebbero aiutarti, la cosa cambia. È che se lo guardi da lontano il rugby italiano è bellissimo, il mondo dei valori. Da vicino è una specie di guerra dei Cent’anni…”.

 

Questi alcuni estratti dell’intervista pubblicata su Il Foglio (eccola per intero).

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