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Le modifiche “radicali e urgenti” richieste da un attivista sulle concussion dopo la morte  a 39 anni dell'ex rugbysta neozelandese Shane Christie 

Il noto attivista per la sicurezza nel rugby, Sam Peters, ha lanciato un appello per “cambiamenti immediati e urgenti” a tutela della salute dei giocatori, in seguito alla tragica morte di Shane Christie.

La morte di Shane Christie

Christie, ex giocatore di rugby che ha militato in Super Rugby con gli Highlanders e ha rappresentato i New Zealand Maori, è stato trovato senza vita nella sua abitazione di Nelson mercoledì, dopo l'irruzione in casa da parte della polizia.

Le concussion durante la carriera 

L’ex rugbista, 39 anni, si era ritirato nel 2016 e si era espresso più volte sulla necessità di studi sui legami tra concussion (commozioni cerebrali) e danni cerebrali a lungo termine.

«Non speculerò sulle cause della morte di Shane – ha dichiarato Peters – ma chiunque conosca la CTE (encefalopatia traumatica cronica) e la sua associazione con depressione e altri disturbi mentali può immaginare il rischio.»

Christie aveva dichiarato di voler donare il proprio cervello alla ricerca, nella speranza di rendere il rugby uno sport più sicuro. L’ex giocatore sospettava di soffrire di CTE, una malattia neurodegenerativa associata a ripetute concussion.

“Notizie come questa mi colpiscono allo stomaco…”

Più di dieci anni fa, da giornalista sportivo in Inghilterra, Peters aveva iniziato una campagna per spingere le autorità del rugby a prendere più seriamente il problema delle concussion.

Da allora ha scritto un libro sulla sua esperienza di inchieste e oggi ribadisce la necessità di interventi dopo la morte di Christie.

In un post su LinkedIn, Peters ha scritto:

«Ogni volta che mi chiedo se continuare a difendere la salute cerebrale nello sport, storie come questa mi danno una ragione chiara.

Shane Christie, ex rugbista neozelandese ritiratosi nel 2016 a causa di ripetute concussion, ha dedicato la sua vita a sensibilizzare sul tema delle lesioni cerebrali. Ieri è morto a 39 anni. La domanda ora è: come reagirà il rugby professionistico a un’altra tragedia nella sua comunità?

Si accetterà questa realtà come “danno collaterale”? Un prezzo da pagare per lo spettacolo e i guadagni immediati? Oppure si adotteranno cambiamenti urgenti per la tutela dei giocatori?

E non parlo di gadget tecnologici come paradenti smart. Parlo di riduzione radicale del numero di partite, eliminazione degli allenamenti con contatto e formazione continua per allenatori, dirigenti (quelli con il potere decisionale) e atleti sui rischi di giocare dopo una concussion.

Altrimenti il mondo del rugby – media, tifosi, sponsor, dirigenti, allenatori e giocatori – potrà scegliere ancora una volta di voltarsi dall’altra parte. RIP Shane Christie.»