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Articolo pubblicato su Allrugby numero 145

 

Giosuè Zilocchi è nato a Fiorenzuola il 15 gennaio del 1997. Cresciuto nel Gossolengo, ha frequentato l’Accademia Nazionale “Ivan Francescato”, poi ha giocato a Piacenza nei Lyons e nel Calvisano. Alle Zebre dall’estate del 2018, ha esordito in Nazionale a Oita, a giugno dello stesso anno, contro il Giappone.

 

Una volta la frase preferita di quelli che in mischia mettono la faccia e il fisico in prima linea era: “io non gioco a rugby, io faccio il pilone”. Affermazione decisamente esagerata e sicuramente demodé ma che fotografava bene lo spirito della confraternita di quelli che lì davanti disputano una partita tutta loro. Zilocchi, gigante piacentino di 1.90 per oltre cento chili, che di nome fa Giosuè (“piaceva alla mamma...”), non appartiene certo alla generazione di chi vede il rugby con gli occhi di una volta. Però il carattere resta quello: “mi piace stare nel mio, testa bassa e poche parole”.

E a testa bassa Zilocchi si è conquistato i riflettori nelle prime tre partite del Sei Nazioni, con due buone prestazioni con Galles e Francia. Al punto che c’è già chi lo vede, a 23 anni, come il prototipo del pilone del futuro, quello che potrebbe rinverdire in azzurro, con la maglia numero 3, i fasti dei Properzi e dei Castrogiovanni, per citare i più noti. Lui taglia corto: “sta andando bene: ho la possibilità di giocare, sia con le Zebre che in Nazionale, e quando giochi con regolarità puoi farti notare e sfruttare la tua occasione”. Giosuè sia con il Galles, nonostante la batosta pesante (0-42) subita dall’Italia, sia con la Francia, le sue occasioni le ha sfruttate a dovere.

“Meglio con la Francia - dice - perché Cyril Baille (il suo avversario diretto allo Stade de France, ndr) spingeva diritto e questo ha reso il confronto più facile. Wyn Jones invece giocava più sporco, spingeva tutto storto e quando è così, tante volte, ti devi affidare all’arbitro. Speri che abbia visto le cose per come sono e che non fischi a caso”.

Fisico da sollevatore di pesi, Zilocchi inizia a giocare nel Gossolengo, dove è cresciuto anche Andrea Lovotti, altro azzurro di prima linea. Entrambi cominciano come terze linee. “Poi in Accademia mi hanno proposto di provare come pilone”, racconta. Pare sia stata una folgorazione: una propensione naturale all’ingaggio, alla spinta, gambe e schiena, che quasi mai si vede in un ragazzo giovane.

A 19 anni l’esordio in Eccellenza, nei Lyons, e, a primavera del 2017, l’infortunio al ginocchio che lo tiene fermo fino all’inizio dell’anno nuovo. Nel frattempo, durante l’estate, il trasferimento al Calvisano dove dieci partite, da gennaio in poi, gli sono sufficienti per catturare l’attenzione di Conor O’Shea e guadagnarsi la convocazione per la trasferta in Giappone. L’esordio in Azzurro a Oita (giugno 2018), poi il match contro l’Irlanda a novembre a Chicago. Infine la preparazione con la Nazionale a Pergine la scorsa estate, senza però riuscire a conquistarsi il posto sull’aereo per i Mondiali. “È che anche con le Zebre la scorsa stagione non avevo giocato tantissimo - spiega -, in PRO14 solo due partite da titolare, poi durante il raduno in Trentino ho avuto un problema muscolare, insomma l’esclusione per me non è stata una sorpresa, me l’aspettavo”.
Poi, dopo le squalifiche di Lovotti e Quaglio e gli infortuni di Ferrari e Riccioni, la chiamata in extremis per la partita con gli All Blacks a Toyota City, alla fine cancellata per il tifone: “è stata una bella esperienza lo stesso - spiega - anche se il viaggio è stato lungo e non si è giocato. Certo, i ragazzi erano veramente stanchi dopo due mesi di lavoro duro, di attesa, di partite, di preparazione. Li abbiamo trovati esausti. Adesso si è aperta una fase nuova”.

Parliamo del nuovo corso, appunto. 
“Franco Smith è molto rigoroso, preciso e da sudafricano è molto attento alle basi del gioco, mischia e rimesse laterali. La scuola è quella, conquista, possesso: a noi giocatori di mischia non può che fare piacere, anche se con lui non vedrai mai un pilone in campo per più 70 minuti interi. Personalmente devo ancora lavorare sulla tecnica in mischia chiusa che è la prima cosa richiesta a un pilone; senza però dimenticarsi di placcare e portare avanti la palla. Però è inutile girarci tanto intorno, mettere sotto il tuo avversario diretto resta il primo obiettivo se giochi in prima linea”.
Con le Zebre giocate molto palla in mano...
“Si e a me, che ho cominciato come terza linea, giocare in attacco mi è sempre piaciuto. Devo lavorare un po’ più sulla difesa, ma è sicuramente uno stile di gioco che mi piace”.
Il livello internazionale come ti è sembrato rispetto per esempio al PRO14?
“Un gradino più alto, sia fisicamente sia come intensità e, soprattutto, non puoi sbagliare niente, un errore e ti puniscono immediatamente”.
Sei un istintivo o uno che studia con attenzione il gioco?
“All’inizio ero più istintivo, ma adesso studiare è fondamentale, fa parte del menu della settimana, e devo dire che lo faccio anche abbastanza volentieri. Poi sono un pilone...in altri ruoli l’applicazione all’analisi sicuramente è maggiore”.
Con la Nazionale si vince poco, con le Zebre siete stati a secco per più di un anno intero: quanto pesano le sconfitte quando lo sport è il tuo lavoro?
“Non dobbiamo mai dimenticare che siamo comunque dei privilegiati e che facciamo una cosa che ci piace. E poi non c’è tempo di piangere sui risultati, dopo ogni partita devi rimetterti a lavorare subito e guardare alla giornata successiva. Dobbiamo pensare in prospettiva, non farci condizionare da quello che è stato”.

Cresciuto a Gazzola, sulle rive del Trebbia, dove Annibale travolse i romani con gli elefanti (in memoria di quell’evento la squadra di Gossolengo si chiama Elephant), Zilocchi di tanto in tanto da Parma torna in campagna dalle parti di Piacenza: il papà è veterinario e nel tempo libero si dedica anche a fare l’apicultore.

La battuta è scontata: sei cresciuto a pane e miele?
“Mah, diciamo piuttosto che essendo andato presto via di casa mi piace anche cucinare....”, rivela. 

Cristiano Durante, che a Calvisano ne ha curato la rieducazione dopo l’infortunio al ginocchio, racconta di una straordinaria propensione al lavoro in palestra, ore e ore di macchine e bilancieri. Diplomato al liceo scientifico, dopo la maturità si iscrive a Scienze Agrarie, il che fa sospettare di una passione per la natura. “Ma sto bene anche in città - spiega -, non è che sono particolarmente amante della vita nei campi. Una cosa giusta, il giusto compromesso”.

Gli chiediamo allora se l’equilibrio, la diplomazia lo guidino anche nelle cose di tutti i giorni: “abbastanza – risponde – sono un tipo tranquillo, qualche lettura (l’ultimo libro: Il conte di Montecristo, ndr), un po’ di musica, soprattutto elettronica (gruppo preferito i Daft Punk), qualche gita in montagna, ma niente sci, solo camminate e rifugi. Anche nello spogliatoio, poche parole, preferisco parlare col lavoro”.

Dunque: fuori dal campo, equilibrato e incline al compromesso e quando giochi?
“Eh no...in campo è tutta un’altra cosa”.

 

 

di Gianluca Barca 

 

 

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