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Negli ultimi giorni, dopo le dichiarazioni del Presidente Federale Alfredo Gavazzi, sono sorti molteplici interrogativi riguardo al futuro del Rugby Italiano. Gavazzi ha dichiarato che il prossimo allenatore dell’Italia non sarà Conor O’Shea, ha attaccato Dominguez riguardo alle prossime elezioni ed è stato positivo nel giudicare il futuro della Nazionale italiana. Da li è scoppiata la battaglia dei social dove molti, addetti ai lavori e non, si sono espressi sulla situazione. Ieri abbiamo pubblicato il commento dell’editore Michele Dalai, personaggio che è stato vicino all’ambiente Zebre, oggi vogliamo pubblicare una vera e propria analisi, quella di Matteo Mazzantini, ora allenatore dell’Accademia Under 18 di Torino, il livornese in passato ha rappresentato la Nazionale (9 caps) e ha girato tutta l’Italia giocando nelle squadre più importanti dell’élite rugbystica del nostro paese. Da buon mediano di mischia, e pure di Livorno, non le manda a dire chiedendo di ritrovare l’orgoglio del nostro rugby, il rugby italiano. 

 

L’analisi di Matteo Mazzantini:

“In questo momento così difficile per il rugby italiano, voglio dare un mio piccolo contributo alla discussione.

Sento parlare tanta gente, che improvvisamente è diventata enormemente competente, sento parlare di soluzioni, di decisioni drastiche, di epurazioni. Sento dire che la Federazione non fa niente da anni, che comandano sempre gli stessi. Sento dire che la salvezza del rugby italiano passa attraverso i club…

Non posso stare in silenzio. Questo sport è parte di me, lo conosco a fondo e lo amo, mi ha regalato delle grandi soddisfazioni ed anche le più grandi delusioni. Ho provato a scappare via dal professionismo cialtrone che caratterizza il rugby italiano, ho cercato di riciclarmi a fare un lavoro “vero” come direbbe mio padre. Ma non è così semplice a 35 anni senza una minima esperienza se non quella di campo.

Alla fine sono sempre qui, ed anno dopo anno i discorsi sono sempre gli stessi. Discussioni tecniche interminabili che sfociano in fumo, nebulose di fumo, in cui si può dire tutto ed il contrario di tutto. Ma questo è lo sport, o meglio, questo è lo sport di situazione. Come attacco? Dipende… da che? Da come difende l’altra squadra. Semplice. C’è sempre un “dipende”. Uno sport di “situazione” prevede che due o più persone si affrontino e cerchino di battersi seguendo delle regole. Se uno fa una determinata azione, l’altro deve dare una risposta adeguata, se no…perde. Ecco tutto. Tutto dipende dalla interrelazione tra attacco e difesa. Sport di situazione. Punto.

Quindi, essenzialmente, non esiste chi ha ragione e chi non ce l’ha, vale tutto ed il contrario di tutto. Quello che è importante è giocare secondo pochi principi di gioco, l’avanzamento, la continuità e l’utilizzo dello spazio (in modo intelligente…).

Veniamo al dunque. Si parla di federazione incapace, si parla di rivoluzione, si parla di nazionale che va malissimo, si parla di accademie che non servono.

Parliamone.

La nazionale perde e non riesce a colmare il gap con le migliori del mondo. Arrivano i giornalisti italiani e cominciano a dire: “non vi siete stancati di questo 6 nazioni?” 

Ma che domanda è? Ma chi ti ha suggerito questa uscita? Ma tu sai perché e come, l’Italia si è guadagnata l’ingresso nel vecchio 5 Nazioni? Ma tu conosci un minimo le tradizioni di questo sport? Ma tu sai che se il rugby italiano uscisse dal 6 Nazioni, uscirebbe definitivamente dal gota del rugby Mondiale con conseguenze devastanti per TUTTO il movimento?

Sapete cosa penso di chi, italiano, propone costantemente questa domanda? Penso che sia uno che godrebbe a vedere il rugby nostrano tornare all’importanza degli anni 80-90, quando non ci considerava nessuno e non facevano vedere una partita in tv se non dopo l’ultima garetta comunale di ciclismo. Oppure un infiltrato franco-inglese che ha paura di un nostro possibile boom.

In federazione sono sempre gli stessi da anni. La rivoluzione passa attraverso i clubs.

Si. Si, può anche essere.

Questa è la mia storia. 20 anni come giocatore e tecnico professionista (Benetton Rugby, L’Aquila Rugby, Rugby Rovigo, Viadana Rugby, Gran Parma Rugby, Rugby Livorno, Rugby Bassano, Cus Torino, oltre che partecipante di tutte le nazionali nessuna esclusa). Di queste società, le uniche che hanno rispettato gli impegni economici sono state il Benetton Rugby e il Rugby Rovigo. Tutto il resto, chi più e chi meno, ha unilateralmente deciso di non dare il corrispettivo pattuito ad inizio, adducendo le più svariate scuse. Addirittura, a Livorno, andavo dal presidente a chiedere lo stipendio, e dopo una serie di paturnie, tornavo a casa talmente triste per lui che se avessi avuto dei soldi glieli avrei dati…

Anche solo avere una data di pagamento è una chimera, a volte stipendi ritardati di mesi, e tu che fai i conti per mangiare. Questa è la realtà del professionismo Italico.

E le tasse? Io ho pagato le tasse (ma non sempre, perché alcune società non ti permettevano neanche di farlo), ma ho pagato la ritenuta d’acconto. Non ho mai pagato per avere una pensione. Probabilmente non l’avrò mai.

Questi 20 anni di pseudo professionismo italiano li conosco molto bene.

Un giocatore, non ha diritto di farsi male nelle sue attività private, ma neanche con la squadra. Se subisce un infortunio troppo grave, può essere lasciato a casa. Spesso non succede per umanità dei presidenti, ma la realtà è questa. Le ferie? Sconosciute.

La FIR almeno ti da la garanzia di riceve lo stipendio mensilmente. Non è poco in questo ambiente.

Ci si domanda perché i ragazzi cercano fortuna all’estero, perché tra un club di Eccellenza ed uno di 3° Divisione francese, la scelta cada sempre per l’estero. Penso che tutto derivi dalla sicurezza di fare il professionista in una società che riconosce il tuo operato.

L’Italia ha un bagaglio sportivo eccezionale, non parlo solo di rugby, ma di sport. Dovremmo essere attraenti verso le altre discipline, mettendo in condizione l’individuo di investire tempo ed energie in una attività che ti permetta di progettare una vita. Non possiamo continuare ad affidarci alla passione ed alla incoscienza della gioventù, che vede quei due pochi euro come un bello stipendio. Credo che qui stia il grandissimo problema del rugby italiano.

Lavoro in federazione, sono quindi un federale, ma amo questo ambiente e non chiudo gli occhi di fronte ai problemi. Vedo tantissimo entusiasmo in chi si avvicina a questa disciplina, vedo ragazzi, genitori, amici che rimangono impressionati dalla bellezza del nostro ambiente. Non entro nel discorso accademie si o no, io faccio il mio lavoro con passione ed al meglio delle mie possibilità, quello che posso dire ed augurarmi, è che qualunque cosa si decida di fare, la si faccia con un progetto duraturo e supportato dalla dirigenza.

Un ultimo pensiero.

Siamo Italiani, sappiamo giocare a rugby come gli altri, e non abbiamo bisogno di gente che venga ad indottrinarci su come interpretare questo gioco. Voglio ricordare che in Italia abbiamo inventato il gioco globale, dove ogni giocatore diventa multifunzionale. Abbiamo inventato l’occupazione del campo e l’organizzazione difensiva con l’interno. Abbiamo proposto questo rugby nella tournee in Australia ed abbiamo “maltrattato” tutte le squadre incontrate. Adesso, dopo avercelo copiato un po' tutti adesso vengono qui ad insegnarci. L’unica cosa che potrebbero insegnarci è l’avere un po' più di fiducia in noi e nei nostri mezzi.

Troviamo una unità di intenti e rompiamo il culo a tutti quelli che adesso non credono in noi.”

 

Matteo Mazzantini