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E’ di ieri sera il comunicato del Mogliano Rugby che ci racconta come sia perfettamente riuscito l’ultimo intervento chirurgico ad Aristide Barraud per ridurre i danni causati dalle schegge di proiettile alle costole.

Ari sta bene anche se, ovviamente, sente molto dolore alle costole e allo sterno e pertanto non riesce a muoversi molto nella fase post operatoria ma conta di poter tornare a casa domenica prossima.

Quasi in contemporanea, giovedì è uscita sull’Equipe l’intervista di Alex Bardot sui fatti di Parigi del 13 novembre, bellissima forse per la bravura dell’intervistatore ma sicuramente per il cuore dell’intervistato: Aristide è una persona fuori dal comune, parla sempre con una voce dolce ed ha uno sguardo profondo e “rilassato”.

Giè ieri Alessandro Cecioni dell’Espresso aveva anticipato parte dell’intervista riportandone alcune parti tradotte in italiano. Alla domanda "Cosa dicono gli psichiatri sul tuo stato?" Aristide ha risposto " Che non ho reagito normalmente. In effetti in un millesimo di secondo ho compreso ed ero attivo. E' stato istintivo. Ho sentito tre spari, ho girato la testa e l'assassino mi ha messo in gioco guardandomi. Ho reagito, come in campo quando si prendono decisioni in un decimo di secondo. Il mio riflesso è stato mettere mia sorella dietro di me. Ed è stato in quel momento che siamo stati colpiti. Questo riflesso immediato secondo gli psichiatri l'ho avuto grazie alla mia capacità di analisi di sportivo ad alto livello".

E Cecioni aggiunge una cosa che fa parte della missione degli allenatori, secondo lui bellissima: "Si lavora tutto il tempo perché dei gesti divengano istintivi nel momento voluto. Là questo mi è servito".

Anche secondo noi, proprio quello che permette di giocare ad alto livello ha permesso ad Aristide di vivere!

La stessa intervista è stata ripresa anche da Elvis Lucchese nel suo pezzo odierno in Venetoblog, la parte che avrebbe dovuto essere più choccante è forse quella che scivola via con maggior naturalezza:

«I medici non hanno ancora capito come non sia morto nei primi dieci minuti. E quando ho detto loro che non ero nemmeno svenuto, non ci credevano. Da un punto di visto fisiologico, ciò non era quasi possibile. Avevo perso quasi tutto il mio sangue. Il rischio era il polmone. Volevano asportarmelo. Ci hanno messo del tempo prima di operare, potevo non sopravvivere ad un intervento. Un medico ha deciso di farmi un’ecografia al cuore. Ha messo l’apparecchio e ha gridato ai colleghi: “Oh, putain! Venite a vedere! Ha il cuore di un bue“. Ho girato la testa e ho visto il mio cuore che pompava. Boum, boum. Mi hanno domandato: “Sei uno sportivo?” Ho detto di sì. A Mogliano, nello stile del nostro gioco, il numero 10 deve correre molto… Vedendo questo, i medici si sono detti che ce l’avrei fatta. Due giovani chirurghi dell’ospedale di Bichat si sono presi la responsabilità di operarmi conservando il polmone”.

Aristide deve ringraziare ancora una volta il rugby!

“La prima persona che è arrivata sul posto dopo la sparatoria è stato Serge Simon (ex pilone del Bègles, dello Stade Français e della Nazionale transalpina, ndr). Ero a terra, sentivo che stavo morendo. Ho lasciato la testa cadere all’indietro, ho chiuso gli occhi, mi sono sentito abbandonare. E’ il momento più duro da accettare: l’agonia. La mia, e quella della gente attorno a me. Si sentivano gli ultimi respiri, le ultime parole. A quel punto ho sentito: “Sono un dottore”. E’ arrivato, mi ha soccorso. “Salve, mi chiamo Serge, sono un medico”. L’ho riconosciuto immediatamente. “Siete Serge Simon. Salve, mi chiamo Aristide. Sono un rugbista”. Ha fatto i primi gesti prima di orientare i soccorsi. Ha messo me e mia sorella nella posizione laterale di sicurezza. Mi ha salvato la vita. Questo vuole dire tutto e niente, ma in realtà sì, senza di lui sarei morto”. 

“Nei giorni dopo il ferimento ho avuto un momento di grande lucidità….Ho capito ciò che volevo. In quel momento avevo il cuore che batteva forte, il mio corpo si stava risvegliando. Non sono riuscito a dormire per tutta la notte, nonostante tutto quello che mi davano. Sentivo una voglia di vivere, una forza che circolava dentro di me."

 

"Parigi è la mia grande passione, prima del rugby. E se penso di essere quasi morto dissanguato sull’asfalto di Parigi, sento un legame ancora più forte per la città…

Ciò che ci salva, me e mia sorella (Alice, sorella minore di Aristide è stata anch’essa vittima dell’attentato, ndr), è che abbiamo una battaglia da condurre. Una battaglia pacifica, per noi, per mostrare che la vita continua. Mia sorella è stata ferita all’avanbraccio: doppia frattura scomposta. Lei è un’acrobata professionista. E la sua carriera cominciava a decollare. Dopo gli attentati un chirurgo le ha detto: “Bisogna cominciare a pensare a un’altra vita”. Ha accusato il colpo, ma quando il dottore è tornato due giorni dopo, lei gli ha detto: “Quando farò il mio primo spettacolo, le manderò i biglietti”. E’ dura, ma lei è come me, veramente determinata”

“A volte mi sembra di giocarmi la mia vita come fosse una partita importante, di quelle con il selezionatore in tribuna o che passano alla tv».

 

E allora caro Aristide giocatela sino in fondo, con la serenità e la forza che hai dimostrato sino ad ora!

Bonne chance Ari!

 

Foto Alfio Guarise

 

Leggi la nostra intervista ad Ari