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Il commento di chi era presente e le dichiarazioni di Marzio Innocenti

Il Gazzettino ci ha fatto l’apertura della pagina di Ogni Sport del lunedì, il presidente del Comitato regionale si è subito attivato per sapere cosa sia effettivamente accaduto. La parola è ora al giudice sportivo che deciderà in merito. La sospensione per rissa generale e ingresso in campo del pubblico (composto per il 99.9% da genitori), decretata domenica dall’arbitro a 12’ dal termine di Petrarca – Mogliano del campionato under 16 (24-7 per Mogliano il punteggio al momento del fattaccio), è evento che farà discutere e, si spera, indurrà qualcuno a rivedere l’approccio mentale a certe gare. Che nulla hanno a che vedere, sarebbe il caso di chiarirlo una volta per tutte, con i grandi appuntamenti del rugby mondiale. E i cui risultati nulla sottraggono o aggiungono al percorso di formazione e di crescita che gli atleti coinvolti stanno attraversando.

Perché è facile, e tutti sono in grado di farlo, riempirsi la bocca di paroloni come “valori morali”, “priorità dei comportamenti sui risultati”, “rispetto dell’avversario e delle decisioni dell’arbitro”, a margine di qualche sagra della salamella ovale o alla cena di Natale prima di servire panettoni e pandori. Il difficile, per gli adulti che in qualche misura hanno a che fare con i più giovani che il rugby, per il momento, hanno tutto il diritto di pensarlo e di vederlo sono come un gioco, arriva quando il livello della competizione, anche solo di infinitesimali parti di punto, si alza. È facile, cioè,  predicare che l’importante sia partecipare, dare il massimo nel rispetto delle regole, se possibile divertirsi e accettare il risultato del campo come sentenza inappellabile, quando la squadra che alleni o il club di cui è espressione perde quasi tutte le domeniche e nulla ha da chiedere alla classifica. Prova a mettere in palio uno scudetto under 16 (che non esiste) di latta o di altro metallo per niente nobile e scopri improvvisamente che gli atteggiamenti, le priorità, il modo di esprimersi e di rapportarsi con gli avversari e con l’arbitro, improvvisamente cambia. E diventa quella vuota, spesso ridicola, sempre penosa ritualità del “ragazzi oggi è una giornata che segnerà il nostro destino, un appuntamento con la storia che non possiamo mancare, una sfida che dobbiamo vincere perché questo ci dice la nostra coscienza e l’amore che portiamo per la nostra maglia”, sparata a un gruppo di adolescenti in mutande, caschetto e paradenti, pochi minuti prima dell'inizio della battaglia. Nel chiuso di uno spogliatoio o dentro il cerchio magico sotto i pali della porta.

Difficile ritenere che certi eccessi comportamentali e verbali (quindicenni sull’orlo di crisi isteriche per la mancata concessione di un calcio di punizione o di una meta, scambio di battute con il diretto avversario all’insegna del: al prossimo placcaggio non ti alzi più, offese e gestacci nei confronti del pubblico, continuo turpiloquio nei verso il direttore di gara…) non siano alla base di una deriva, per certi versi paranoide, di un’attività che, a parole, solo a parole, purtroppo, dovrebbe essere “un salutare contributo alla formazione umana e sociale del giovane”.

Per sovrapprezzo, negli ultimi anni, qualcuno ha lasciato intendere che (anche) in Italia, di rugby, si possa addirittura vivere. Nel senso che giocando la domenica uno si potrebbe pagare bollette, spesa all’Iper, pieno dell’auto, vacanze estive, scuola dei figli quando ne avrà e magari pure qualche lusso… In Italia! Un luogo dove il derby veneto al vertice dell’Eccellenza fra San Donà e Petrarca che si è disputato a poche ore di distanza da Petrarca – Mogliano under 16, ha staccato la bellezza (!) di 350 biglietti al botteghino.

Ma la gente, genitori compresi, a certe panzane evidentemente crede. E come è giusto che sia si comporta di conseguenza. Domenica c’ero anch’io al centro Sportivo Memo Geremia, ero andato per una partita under 18, ma essendo arrivato in anticipo mi sono fermato a dare un’occhiata agli under 16. E quando, lungo la linea laterale sul lato pubblico in piedi, si è generato un assembramento dove il massimo del gesto violento (urla e minacce di morte a parte) è stato uno spintone da dietro, gli adulti che hanno saltato la staccionata per prendere parte alla schifezza io li ho visti. E ho provato una grande pena.

E ogni volta che sento parlare male dei “genitori di quelli del calcio”, se ho tempo mi fermo a fare chiarezza. E spiego che la presunta superiorità morale del genitore ovale ce la siamo giocata il giorno che anche nel nostro disastrato gioco di squadra con la palla, ha fatto capolino una palanca. Una di numero, massimo un paio. Ma tanto è bastato.

Sentito sui fatti di Padova, Marzio Innocenti presidente del Comitato regionale veneto così ha commentato: “Nel merito mi esprimerò solo dopo aver letto i provvedimenti del giudice sportivo. Resta il fatto che, sulla base delle informazioni assunte, quanto è accaduto rientra in una pericolosa deriva comportamentale cui, come Comitato e di concerto con Fir, intendiamo assolutamente porre fine. L’approccio che alcuni adulti, variamente collegabili al nostro ambiente, hanno con l’attività sportiva in ambito giovanile è a tutti gli effetti esecrabile e dannoso. La mancanza di maturità di questi soggetti sta inquinando, e non da domenica, un intero settore della nostra formazione di base. Costoro costituiscono un problema che va quanto prima e radicalmente risolto”.