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Le notizie di infortuni gravi continuano ad accumularsi nella cronaca rugbistica. Molto spesso sono coinvolti atleti giovani, che già intorno ai vent'anni si trovano alle prese con recidive e ricadute, con una casistica che riguarda in particolare le articolazioni (ultimo caso è quello di Michele Peruzzo del Calvisano), ma non è raro trovare infortuni seri anche a livello giovanile. Nell'alto livello, del resto, la preparazione fisica sempre più intensa cui i rugbisti si sottopongono sembra non essere mai abbastanza rispetto a un'intensità di gioco e di impatto che sono esplose negli ultimi quindici anni: ricordiamo Giamba Venditti quando parlava dei suoi tempi di recupero “dalle botte” di un match che in pochi anni sono passati da uno a tre giorni.

Se la federazione internazionale è continuamente al lavoro per adattare le regole del gioco e renderle funzionali alla salute a lungo termine degli atleti, dobbiamo chiederci cosa possiamo fare noi, nel lavoro quotidiano, per limitare ragionevolmente i rischi sul fisico degli atleti.

Si deve agire non solo sul fronte della prevenzione degli infortuni, ma anche su un fronte poco battuto e del tutto sconosciuto alle società dilettantesche o professionistiche, quello della “preparazione agli infortuni”.

La preparazione fisica non basta a prevenire. Decine di ricerche scientifiche, che facciamo finta colpevolmente di non conoscere, legano l'incidenza di infortuni alla capacità dell'atleta di gestire in modo efficiente il proprio stress. Alti livelli di stress aumentano i processi di infiammazione e di ossidazione, un contributo che può essere decisivo per il verificarsi dell'infortunio. Allo stesso tempo, la mancanza di lucidità legata alla tensione può portarci a intraprendere azioni inutilmente rischiose che ci portano a sperimentare incidenti più o meno gravi. La prevenzione si deve dunque basare su un'adeguata educazione dell'atleta a ottimizzare la propria tensione emotiva.

Ma gli infortuni nel rugby ci saranno sempre e comunque, anche se facciamo tutti gli scongiuri possibili. Quindi è giusto e corretto prepararci alla loro evenienza, che si tratti di una botta o che si tratti di qualcosa di più grave. E' giusto che l'atleta sappia esattamente a cosa va incontro, perché, una volta che è costretto a fermarsi, abbia tutti gli strumenti per vivere un periodo di recupero sereno e capace di riportarlo alla funzionalità con un livello di stress fisiologico e non con ansia (o angoscia) da prestazione che possono condurlo velocemente a nuovi problemi. Dover intervenire su un recupero difficoltoso è molto più complesso se l'atleta non ha una preparazione pregressa.

Quindi, suggerisco che le società di ogni livello organizzino incontri con esperti del settore per supportare prevenzione e preparazione agli infortuni basata su una corretta ottimizzazione dello stress dell'atleta. Otterranno tre risultati sicuri: un contenimento degli infortuni, recuperi più efficaci e, allo stesso tempo, una prestazione in campo di livello superiore.