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Mentre in Italia si continua a vedere lo sportivo professionista come una macchina pagata più o meno bene per performare, negli USA fa notizia la decisione del nuovo proprietario dei Carolina Panthers, società di football americano della NFL, che ha da poco inserito nel proprio staff un “Direttore del benessere dei giocatori”. In un mondo sportivo sempre più competitivo, questa figura dovrà garantire un supporto concreto a giocatori e famiglie, per evitare che situazioni di stress eccessivo provochino episodi di esaurimento, depressione, attacchi di panico, ricorso a sostanze nocive o proibite. Si tratta in definitiva di proteggere e curare il principale patrimonio aziendale, quello umano.

Questi casi sono sempre più frequenti nel mondo professionistico e anche il rugby si trova ormai ad affrontarle quotidianamente, tra risse alcoliche, crolli nervosi e problemi di alcolismo che vanno ben oltre la tradizione e la goliardia dei terzi tempi.

Perché una figura del genere potrebbe essere un valido aiuto nel raggiungimento degli obiettivi di squadra? Ce lo racconta proprio Tish Guerin, la “Director of player wellness” dei Panthers.

Le verifiche periodiche del benessere mentale degli atleti saranno importanti quanto quelle fisiche. I giocatori sapranno di avere a disposizione una persona che potranno utilizzare come risorsa, che potrà anche solo semplicemente ascoltarli. Parlare di salute mentale non deve essere una vergogna”.

E’ una rivoluzione copernicana. L’atleta viene messo al centro dell’attività sportiva, prima ancora del risultato, ben sapendo che il suo benessere mentale si vedrà anche in campo. Si rompe il circolo vizioso secondo cui un giocatore deve avere, di per se’, le palle per reggere qualsiasi urto. I giocatori sono esseri umani e proteggere il loro benessere complessivo è un compito naturale delle società sportive, professionistiche e non solo.

Ricordiamocelo quando sentiremo di nuovo società, tifosi e appassionati pretendere dai propri atleti di essere indistruttibili solo perché sono pagati o perché indossano una maglietta per 80 minuti alla settimana.

 

Foto Alfio Guarise