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”È stato con Francois Pienaar che il rugby è diventato l'orgoglio di un intero Paese.” (Nelson Mandela)

François Pienaar è l’uomo che ha ereditato la fascia di capitano degli Springboks da Nass Botha, ma al contrario del "rodigino" ha avuto la fortuna di giocare nel periodo in cui la sua nazionale è uscita dal bando imposto a causa dell'apartheid e si è trovata libera di disputare gare internazionali. Francois è riuscito in questo modo a diventare uno dei più famosi giocatori sudafricani di sempre. Carismatico al punto giusto e grande professionista, questo flanker ha guidato i suoi uomini prima di tutto con l'esempio, ottenendo rispetto sia dentro sia fuori dal terreno di gioco. François era un atleta che in campo ha sempre dato il massimo impegno e tutto il coraggio che possedeva, fino ad apparire quasi sconsiderato: per Pienaar sembrava non vi fosse nessuna palla che non potesse fare propria.


Nato a Veereniging il 2 gennaio del 1967, Jacobus François Pienaar ha esordito nel rugby con il Transvaal (oggi Golden Lions) nel 1989, compagine con la quale ha inanellato 100 caps, 89 dei quali con i gradi da capitano.

Nel 1992 il Sudafrica ha avuto il primo impegno ufficiale internazionale dal 1984, ma gli Springboks hanno dovuto lottare per venire a patti con i massicci cambiamenti che il mondo del rugby aveva subito dal punto di vista del gioco. Sconfitte con la Nuova Zelanda, l’Australia, la Francia e l’Inghilterra hanno sottolineato gli effetti dannosi causati da anni di isolamento.

Nel frattempo però, Pienaar conduceva Transvaal alla vittoria nel primo Super 10 e alla conquista della Currie Cup, della Lion's Cup e delle Night Series del 1993.

Quello stesso anno, esattamente il 26 giugno, è arrivata anche la chiamata in maglia verde per disputare due gare contro la Francia in tournée da quelle parti. La prima partita, giocata a Durban, è terminata col punteggio di 20 a 20 mentre la seconda, a Johannesburg, ha visto i galletti vincere di un punto. Il fatto singolare, però, è un altro: François Pienaar ha esordito in nazionale partendo subito come capitano.

Due mesi più tardi, il ragazzo di Veereniging ha marcato a Sydney la prima delle sue tre mete internazionali.

Nel 1994 Trasvaal ha mantenuto nella sua bacheca la Currie Cup, dopo avere battuto 56 a 33 Orange Free State a Bloemfontein, mettendo a segno sette mete: un record per una finale della coppa sudafricana.

Intanto la nazionale continuava a lottare per risalire la china. Ha vinto contro Argentina, Scozia e Galles, cominciando ad intravedere un miglioramento, mentre il Rugby World Magazine ha votato Pienaar giocatore internazionale dell’anno. Un bel incentivo in vista dei mondiali dell’anno seguente.

La coppa del mondo del 1995 il Sudafrica l’ha voluta ed ottenuta con grande determinazione. Un intero Paese, per la prima volta nella sua storia, si è trovato unito a sperare sotto un’unica bandiera. Nelson Mandela, da circa un anno presidente della Repubblica Sudafricana, ha voglia di fare uscire il suo paese dalla secolare condizione di apartheid e discriminazione, e chiede aiuto ad un evento sportivo. Il Rugby è lo sport più adatti allo scopo, grazie alle regole di lealtà, fratellanza e rispetto che lo caratterizzano: gli stessi principi che un paese intero desidera da molto, troppo tempo.

Gli Springboks si sono trovati subito di fronte gli australiani campioni del mondo in carica e li hanno superati 27 a 18, merito delle mete dell’ala Pieter Hendriks e di Joel Stransky, nonché dei calci di quest’ultimo. Nei quarti i verdi hanno strapazzato Samoa 42 a 14, mentre la semifinale contro la Francia è stata giocata a Durban sotto una pioggia torrenziale, disputata solo grazie all'intervento di numerosi volontari che hanno spinto l'acqua fuori dal campo con gli spazzoloni. La battaglia, perchè di questo si è trattato, ha regalato ai padroni di casa la gioia di una vittoria di misura per 16 a 15 e la possibilità di giocarsi la finale contro gli All Blacks.

Pienaar difende la palla in una ruck, durante la semifinale con la Francia.


Poche erano state in passato le possibilità per gli Springboks di battere la Nuova Zelanda, che tra l’altro arrivava da un cammino mondiale impeccabile e presentava al mondo il talento di Jonah Lomu. Nonostante tutto, quel 24 giugno 1995 a Johannesburg il Sudafrica ha vinto. Mandela sedeva in tribuna, mentre sessantaduemila tifosi, per la maggior parte bianchi, lo acclamavano come loro presidente. Di per se la gara non è stata spettacolare. Troppo nervosi i giocatori in campo per far volare quella palla: la posta in gioco era davvero alta. L'equilibrio è rimasto tale sino alla fine dei tempi regolamentari, un 12 a 12 costruito dai penalties di Joel Stransky e Andrew Mehrtens, con il neozelandese che a pochi minuti dal termine ha sbagliato un drop facile facile, da 15 metri, di fronte ai pali, che se fosse entrato avrebbe cambiato il corso della storia. Invece, sono stati gli Springboks, grazie ad un micidiale drop di Stransky nell’extra time, dopo un eccellente lavoro della mischia, a portare a casa la vittoria. Sul tabellone è apparso 15 a12 e la festa poteva cominciare. Dopo il fischio dell’arbitro inglese Ed Morrison, il capitano Pienaar, che un paio di ore prima era così emozionato da non riuscire nemmeno a cantare l'inno, si è inginocchiato in atto di preghiera, mentre attorno a lui l’Ellis Park scoppiava di gioia. La vittoria dei padroni di casa è stata merito soprattutto dalle terze linee, con Mark Andrews, Ruben Kruger e François Pieenar che hanno imbrigliato gli slanci avversari, e da una partita perfetta giocata dalla difesa, che ha placcato tutto quanto passava da quelle parti.

Francois è stato votato Rugby Personality di quell’anno da parte del Britain’s Rugby Union Writers 'Club e anche Newsmaker of the year nella sua patria. Ma più di tutto è rimasta nella mente dei tifosi, e nella storia, l’immagine di questo flanker di quasi 2 metri per 109 chili, che riceve la coppa del mondo dalle mani di un Nelson Mandela con addosso la sua maglia numero 6. Un’icona di grande impatto politico per un Paese che provava a fare di tutto per scrollarsi di dosso la triste immagine dell’apartheid.
Quando un giornalista ha chiesto a Pienaar cosa provava nell'avere il sostegno delle 63000 persone che si trovavano all’Ellis Park, egli ha risposto: "Non avevamo 63000 tifosi con noi oggi, ma 43 milioni di sudafricani". Un politico di lungo corso non avrebbe potuto dire di meglio ed il ruggito di approvazione che ha salutato la sua dichiarazione è stato assordante.

Immediatamente dopo il mondiale, Pienaar è diventato lo strumento della negoziazione di un accordo con la Rupert Murdoch's News Corporation, che intendeva trasformare il rugby in un vero e proprio gioco professionistico. Per questo le generazioni più anziane di rugbisti lo hanno accusato, ingiustamente, di essere un traditore.

Sul campo, nel frattempo, gli Springboks registravano altre tre vittorie prima della fine del 1995, contro Galles, Italia e Inghilterra. Pienaar ha marcato una meta sia a Johannesburg con i Dragoni che a Roma, dove ha giocato con la maglia numero 8.

A proposito della visita in Italia di Pienaar, Antonio Zibana, allora Liaison Officer della nazionale (colui che assisteva le delegazioni straniere durante il loro soggiorno), ama ricordare un episodio: "Quando eravamo a Frascati con gli Springboks, François si scheggiò un dente in allenamento. Accompagnati da Franco Palladini andammo dal dentista di quest'ultimo, che era donna e...di colore. Io vidi Pienaar interdetto e molto educatamente disse che preferiva aspettare il ritorno in Sudafrica per fare un lavoro definitivo dal proprio dentista. Uscendo gli chiesi se la sua non fosse stata una scusa. Mi rispose di no e non insistetti, ma..." (Antonio Zibana)

Nel 1996, anche se avevano sconfitto Fiji appena prima dell’inizio del Tri Nations, le prestazioni degli Springboks in quel torneo sono state deludenti e sono riusciti a vincere solo una partita contro l'Australia.
Pienaar ha lasciato la nazionale proprio durante questo torneo, dopo la partita persa a Cape Town il 10 agosto contro la Nuova Zelanda per 29 a 12. Così, solo 15 mesi dopo avere sollevato il Webb Ellis Trophy, il flanker di Veereniging ha polemicamente abbandonato gli Springboks per dissidi con il coach Andre Markgraaff.

Alla fine sul suo tabellino sono annotati 29 caps e 15 punti realizzati, derivati da 3 mete.

Dopo di allora Francois è andato a giocare in Inghilterra, dov’e diventato giocatore-allenatore dei Saracens. Pienaar non era il primo Springbok che traslocava nell’emisfero nord, altri compagni lo avevano preceduto accasandosi in Italia, Francia e Inghilterra, ma il suo alto profilo ha attirato grande attenzione sul club inglese. I Saracens erano, e sono, una squadra di grande fascino, le firme di fama mondiale che militavano allora fra le sue file si chiamavano Michael Lynagh e Philippe Sella, che con Pienaar hanno portato subito la compagine al successo, compresa la vittoria sui Wasps nella finale della Tetley's Bitter Cup del 1998: il primo trofeo dei Saracens in 127 anni.

François si è ritirato dai campi di gioco nel 2000, ma è rimasto ai Saracens come amministratore delegato e coach.
Nello stesso anno è stato introdotto nella Wall of Fame presso il Museo del Rugby a Twickenham e nominato Dottore Honoris Causa dall'Università degli Studi di Hertfordshire.

Nel 2002, causa mancanza di risultati con il club di Watford, si è dimesso da amministratore delegato ed è tornato a Cape Town, dove vive tutt’ora con la moglie Nerine e i due figli, uno dei quali ha Nelson Mandela come padrino.

Nel 2004 è stato votato al cinquantesimo posto nella Top 100 dei più grandi uomini sudafricani.

L'anno successivo, grazie ai suoi meriti sportivi, Pienaar è stato introdotto nella International Rugby Hall Of Fame.

Durante i mondiali del 2007 ha commentato le imprese del Sudafrica per l’ITV Network, dichiarando di essere un grande fan di Bryan Habana.

Nel 2009 Clint Eastwood ha raccontato le gesta della squadra sudafricana campione del mondo nel film Invictus (tratto dal libro di John Carlin "Ama il tuo nemico") con la parte di Pienaar affidata a Matt Damon.