Campionati sospesi e scudetto non assegnato per la prima volta dal dopo guerra. Il coronavirus ha sconvolto la vita quotidiana delle persone per oltre due mesi, oltre al mondo del lavoro anche lo sport ne ha risentito notevolmente, in particolare il rugby che sta vivendo un periodo di incertezza dovuto alle restrizioni imposte dal governo. L’inattività, i mancati introiti generati dai tornei e dalle club house, le aziende sponsor in difficoltà, tutti elementi che pesano e peseranno non poco sulle tasche dei club di ogni categoria. Sono stati stanziati degli aiuti economici da parte della Federazione Italiana Rugby ma probabilmente la somma destinata al rugby italiano, il fondo coronavirus, non basterà (ne avevamo parlato qui).

Secondo fonti di Rugbymeet alcuni club del Top12 avrebbero proposto a Fir la non retrocessione per un’altra stagione, un anno di tempo per riorganizzarsi, ritrovare i fondi e ricalibrare le strutture per tornare a competere. Va detto che non tutti i club del Top 12 si sono espressi in questa direzione, come stiamo leggendo dalle news di mercato di Rugbymeet ci sono 4 club molto attivi sul mercato nell’allestire la rosa per la prossima stagione, a questi si aggiungono le Fiamme Oro che sono un discorso a parte, i cremisi problemi economici non dovrebbero averne.

Le cifre

Il Consiglio federale si è impegnato a garantire i contributi 2019/20, il Gazzettino ha parlato di160mila euro a testa previsti per i club del Top 12, anche se il campionato si è interrotto a febbraio. Quindi 1.920.000 euro complessivi divisi in parti uguali dal Rovigo primo in classifica alla Lazio ultima. Ballano inoltre i 290 mila euro di premi spettanti alle 4 società qualificate ai play-off.

 

Resta il fatto che ai club di Top12 ma di ogni altra categoria non basterà la somma devoluta dal fondo coronavirus, la federazione ha il suo budget e si è impegnata a elargire fondi extra per la prossima stagione (nella speranza che si possa ripartire a settembre).

Ma quindi cosa si può fare per aiutare maggiormente un rugby italiano in crisi? Ne abbiamo parlato con Umberto Casellato, il tecnico, oggi sulla panchina del Rugby Rovigo, è un profondo conoscitore delle dinamiche dell’alto livello avendo allenato sia Zebre che Benetton oltre a molte squadre del massimo campionato italiano (Mogliano, Fiamme Oro e Venezia tra le altre).

“Siamo in un periodo di emergenza e durante i periodi di emergenza vanno prese decisioni importanti per risolvere la situazione. Da bilancio Fir vengono spesi 1, 5 milioni di euro all’anno destinati alla Nazionale maggiore tra compensi giocatori, spese di trasferta e raduni tra Sei Nazioni e Mondiale, questi sono i dati dell’anno 2019. A questa somma si aggiungono i ben 3,2 milioni di euro destinati a finanziare i progetti di Accademie e Centri di Formazione U16 e U18. Progetti nati nel lontano 2006 e che in oltre un decennio non ha dato di sicuro i frutti sperati. Basta leggere i numeri.”


Se andiamo ad analizzare i dati scopriamo che tra i convocati dell’Italia volata in Giappone per i Mondiali, infatti, solo 12 giocatori su 31 erano un prodotto dell’Accademia. Quattro anni fa per i Mondiali in Inghilterra del 2015 erano soltanto 13 su 31.
L’Accademia federale in questi anni ha formato circa 250 giocatori, di questi solo il 12% ha raggiunto il risultato sperato. Ecco perché, per cercare di rimanere un minimo competitivi a livello internazionale, si è costretti ad equiparare stranieri: Dean Budd, David Sisi, Meyer, Jimmy Tuivaiti e Callum Braley gli ultimissimi.

 

“Nel 2006 è nata a la prima Accademia Nazionale di Tirrenia - continua Casellato -, nel 2009 si è passati a tre accademie nazionali, nel 2013 sono diventate 9. Fino a poco fa avevamo da mantenere una Accademia U20 più 32 centri di formazione.”

“Immagina i costi di ogni singolo allenatore per allenare 3 volte a settimana un centro di formazione, ma aggiungiamoci gli staff, gli accompagnatori, i responsabili, i manager… Tutto questo costa 3,2 milioni di euro all’anno. C’è qualcosa che non va.”

“Il campionato italiano 2009/10 è stato l’ultimo prima dell’avvento della Celtic League, dal 2010 in poi cosa è stato fatto per rendere più interessante il campionato? A memoria la regola del numero 10 obbligatoriamente italiano e la regola 50/22. Ma che risultati hanno portato queste iniziative? Sulla 50/22 non esiste un report, qualche dato che indichi se è stata una innovazione giusta. Personalmente non mi sono neanche accorto ci fosse. Non ci sono i numeri, non c’è uno studio da parte di Fir”.

“Le ultime stagioni di Top12 sono state trasmesse su Facebook perché nessuna rete è interessata ad acquistare il prodotto. E’ una questione su cui lavorare e su cui investire qualche risorsa”,

 

Umberto spiegaci la tua proposta.

“Tagliare gli oltre 3 milioni destinati alle Accademie, fare un passo indietro. Siamo in momento di crisi che necessita eccezionali provvedimenti. Questi 3,2 milioni sono fondi di vitale importanza per i club e per la sopravvivenza del rugby italiano. A cosa serve avere delle Accademie se non ci sarà un campionato in cui farli giocare questi ragazzi? Molte squadre rischiano di non potersi iscrivere al campionato la prossima stagione. Davanti a questa realtà come ci si può permettere di mantenere i costi di una Accademia per fare il campionato di Serie A?”

 

 

Pensi che alcuni buoni giocatori usciti dalle Accademie si sarebbero comunque affermati nell’alto livello?

“I campioni sono campioni, i pigri rimangono pigri. Alessandro Troncon si allenava tutti i giorni senza essere obbligato a frequentare una accademia, il Federico Mori di turno anche senza accademia si sarebbe allenato tutti i giorni e sarebbe diventato il giovane promettente che è oggi”.

 

Si dice anche che l’Accademia dia maggiori possibilità ai talenti del sud Italia di esprimersi ad alto livello.

“Quanti giocatori del sud sono usciti dalla Accademie e sono arrivati in Nazionale Maggiore? Mi pare solo Canna e Licata negli ultimi anni. In un passato recente - prima del progetto Accademia - i vari Andrea Lo Cicero, Salvo Costanzo, Salvatore Garozzo e, andando più indietro, Orazio Arancio sono stati notati da degli osservatori e hanno poi fatto la carriera che hanno fatto, vestendo la maglia della Nazionale.”

 

Insomma con questi 3 milioni risparmiati cosa faresti?

“Li investirei nel rugby di base, nelle strutture, nella formazione degli allenatori e sul campionato di Top12.”

“Tutti vogliono la quantità, ma io prediligo la qualità. Come mai non sono mai stati fatti algoritmi per premiare il lavoro qualitativo sul rugby giovanile? Io farei qualcosa di simile per premiare a fine anno i club meritevoli. Valsugana vincerebbe il campionato con il suo vivaio, pensa ai vari Minozzi, Ruzza, Grigolon. Giocatori che ora sono ai massimi livelli perché con loro è stato fatto un gran lavoro a livello giovanile. Il Valsugana è un club che non ha neanche un campo sintetico o una tribuna decente. Ha due campi da allenamento che sono un vero e proprio disastro. Con tutti i tesserati che ha, con il grande lavoro a livello femminile, meriterebbero molto di più!”.

“Investirei inoltre sul Top12 migliorando le strutture, gli stadi, le sale stampa, le palestre e ancora costruendo i box concussion, migliorando le postazioni per i giornalisti in tribuna. Bisogna permettere alle società di investire sugli staff tecnici, come vedo sta facendo Colorno, servono allenatori di qualità. Penso anche, ma forse ora sto sognando, a un centro studi per analizzare le statistiche del Top12 e del Pro14”.

 

Si potrebbe tornare a prima del 2006, quando ogni club aveva la sua Accademia interna.

“Assolutamente si, le Accademie devono tornare ad essere affidate ai club come nel 2006 quando l'Italia era all'8° posto nel Ranking Mondiale, da quando ci sono le accademie viaggiamo tra il 12° e il 15° e non vincimamo una partita nel 6 Nazioni da 5 anni. Come vedi già ora ci sono società che si sono autonomamente strutturate con al loro Academy privata, vedi Verona e Mogliano.”

 

 

Foto Domenico Panaia