Rugby Bergamo e Neuropsichiatria Infantile: il bambino "difficile" come risorsa

L’elemento ‘social rugby’ unito all’attenzione alle dinamiche pedagogiche è un aspetto che caratterizza il mondo ovale più di altri sport. Un esempio di questa attenzione e sensibilità arriva da Bergamo.
Sabato 18 novembre la club house della Rugby Bergamo (società nata nel 1950, con più di 500 iscritti e la cui prima squadra è impegnata nel girone 1 di serie B) ha ospitato una tappa importante del progetto di formazione di tecnici ed educatori nell’ambito della convenzione siglata nel 2015 fra il club e il reparto di Neuropsichiatria Infantile dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
L’incontro, aperto allo staff tecnico del minirugby giallorosso, ha contribuito a sviluppare una riflessione nell’ambito del comportamento fra l’educatore (in questo caso l’allenatore in campo) e i ragazzi. Una ventina di allenatori si sono confrontati, dialogando coi relatori ed analizzando immagini e video, su questo tema, riflettendo sulle esperienze maturate in anni di lavoro sul campo fra allenamenti, open day e concentramenti.
Coordinato dallo psicologo Marco Gritti (che è anche allenatore dell’Under16 e dirigente della Rugby Bergamo), il corso di formazione si è strutturato in due momenti distinti. Il professor Stefano Conte, del reparto di Neuropsichiatria Infantile, ha parlato delle situazioni legate al comportamento di contrasto e non collaborazione utilizzando alcuni spezzoni video di film. La relazione delle psicologhe Susanna Ambrosino, Elena Nova e Valeria Renzetti invece ha preso spunto dal foto-linguaggio per confrontarsi con i presenti interrogandosi sul cosa significhi la gestione del bambino difficile.
Da anni la Rugby Bergamo è attenta alle dinamiche sociali, collaborando fattivamente con l’ospedale. Il responsabile del progetto, Marco Gritti, ricorda gli obiettivi che vi stanno alla base: “Favorire la valorizzazione delle risorse e la comunicazione fra coloro che hanno una funzione rispetto al bambino. C’è un dialogo sulle esigenze del minore sia in ambito sportivo che non”.
Il progetto, che prevede momenti di formazione come quello di sabato scorso, sta predisponendodiversi strumenti di intervento: “Ad oggi abbiamo attivato lo sportello per l'accoglienza e l'ascolto delle famiglie e dei minori, stiamo portando avanti il monitoraggio in campo e il supporto agli allenatori da parte di psicologi, abbiamo organizzato momenti di formazione sulla gestione dei soggetti con deficit specifici rivolti agli allenatori e dirigenti-accompagnatori” continua Gritti.
Gli obiettivi di fondo sono ad ampio raggio: costruzione di modelli di lavoro per un’azione sinergica e flessibile; sostegno alle realtà coinvolte nel processo di crescita del minore; sviluppo dicompetenze trasversali per dirigenti, allenatori, educatori e genitori; favorire nei ragazzi modalità relazionali improntate alla fiducia in sé stessi, alla collaborazione e al rispetto; supporto agliallenatori e ai dirigenti-accompagnatori nella gestione del ragazzo all'interno del contesto sportivo.
Per una riuscita ottimale del progetto è vitale, infine, “gestirne la sostenibilità attraverso la definizione della tipologia e del numero di minori coinvolgibili all'interno delle attività sportive, al fine di garantirne l'efficacia e l'impatto positivo che ne deriva” chiude Gritti.
Articolo di Cristiano Poluzzi