L'editoriale siciliano / happy new rugby...

Il Six Nations rappresenta per il nostro mondo ovale un po' ciò che nella vita quotidiana è il Capodanno. Un rito di passaggio fra un tempo vecchio e il nuovo. Un inizio e l'occasione per voltare pagina e abbracciarsi nei brindisi le intenzioni positive con le quali superare l'incertezza o il disagio dei giorni vissuti fino ad un attimo prima. Così, per incanto e malcelato ottimismo nella mente che si impone sull'ordine delle cose. Con la fiducia nei sogni che scende nel profondo della nostra coscienza sociale per recuperare qualcosa che ci da forza e sicurezza oltre le nostre incertezze e fragilità. A Capodanno come al Six tiriamo fuori i vestiti più luccicanti e ci stordiamo di balli e brindisi e feste nelle quali entriamo in vertiginoso contatto con ospiti e invitati che ci coinvolgono nella loro allegria.
E' un vortice il Six nei cui scoppiettanti giorni danzano assieme i piccoli club che dalla provincia italiana inviano a Roma sostenitori e vessilli: per esserci! E i giornalisti sono in fermento come si trovassero a Sanremo o a Nashville presi da un felice entusiasmo per il quale hanno progettato e realizzato idee e strumenti nuovi e appassionanti di cuore e mestiere. " Come farò adesso ad aspettare un anno per un altro Torneo? "ha scritto sul proprio Wall un telecronista dall'Olimpico. "Il prossimo anno ci vado anche io!" Ha mormorato nell'attesa dell'ultima partita il piccolo Antonio davanti alla Tv al papà panzuto fremente e in attesa del miracolo non avvenuto con gli Inglesi. Ma ci stà, il rugby del Six è questo ed è giustissimo che sia così. Solo che dopo, al risveglio, nel gelo del mattino dopo la festa spazzato dai venti dell'inverno italiano come fosse un fil di Fellini, ecco che la grande attesa del rugby internazionale mostra il suo lato più duro.
Abbiamo perso e male, di chi sono le colpe, chi è giusto faccia le domande e chi è tenuto davvero a dare le risposte? Perchè facciamo questa tremenda fatica in tutti i sensi a restare ad una quota stabile nel panorama delle nazionali? E di contro, perchè gli sponsor aumentano e il pubblico anche, perchè la felicità di esserci accomuna bambini e grandi insieme in questo straordinario evento ormai del costume nazionale e popolare? Perchè ogni Six non diventa un vero rinnovamento ma resta sempre una incerta illusione di cambiamento? Ecco è proprio qui il punto critico a mio avviso. Costume e Cambiamento. Brunel ha offerto una prospettiva concreta, utile e percorribile per cambiare e per fare un salto di qualità. Per cambiare marcia. Ha posto domande e non ha dato risposte. Ha fatto ciò che noi Italiani detestiamo: essere costretti a dare una risposta e non solo domande come amiamo fare per non cambiare e restare fermi sui nostri solchi. Il Six è ormai una splendida realtà di costume ma non è ancora un prodotto della cultura del nostro paese e finchè non lo sarà l'incertezza con cui lo giocheremo e vivremo sarà perenne.
Non ci sono scappatoie, non ci sono alibi. Non è nel trend in crescita, negli interessi degli sponsor e delle franchigie che saremo protagonisti del Six. Arriveremo quarti, terzi e poi l'anno dopo ancora sesti e da questo non si scappa. Piaccia o non piaccia è così. Perchè non facciamo invece ciò che fino ad ora non è stato mai pensato di fare? Perchè non iniziamo in parallelo e con concentrazione matura a fare quello che in pochi settori del nostro paese è stato fatto? Ripartire dalla cultura del rugby per trovare una nostra interpretazione di questo che è anche un gioco ma non solo questo.
Perchè non ripartiamo dai libri e dalle culle, dalle scuole e fuori dal campo, dalle club house e dai club sul territorio? Il primo cambiamento siamo noi stessi e son convinto che sia qui l'anello debole di tutta la catena. La cultura rugbistica che il club sanno costruire sul territorio locale. Non solo finalizzata ai premi, al reclutamento ( come si dice ancora oggi con una terribile parole ). Non si reclutano i ragazzini per giocare a rugby e le famiglie per sostenerli ma si offre loro una opportunità che le emozioni e i modelli e i desideri inducono. E quanti club oggi in Italia fanno questo tranne alcuni fortunati casi in zone storicamente votate e più fertili? E' la cultura del rugby, la sua differenza che è anche questo modo di porsi con le comunità e i campanili che deve essere costruita.
Altrimenti ci saranno sempre nuovi Brunel che porranno le stesse domande senza risposta a una Federazione che costruisce inutilmente suo malgrado un castello di sabbia che piace a tutti ma che senza cambiamento del nostro modo di vivere il rugby resterà fragile di fronte allo sconfinato mare della palla ovale nel mondo. Pensiamoci bene poichè alle Olimpiadi col Seven, ai Mondiali ne avremo l'ennesima conferma. Senza cambiamento non si vive.
( la foto è di Silvestro Silvestri )