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Se c’è qualcosa che l’Italia e la Francia, che sabato all’Olimpico (arbitro il ragazzino Ben O’Keeffe di Auckland, neanche trent’anni e già così in alto) si sfideranno per il quarto turno di un Sei Nazioni che a entrambe poco concederà alla voce "soddisfazioni postume", hanno in comune, è l’essere squadre alla ricerca di un’identità. Ci sta provando la Francia affidata al Maestro Guy Noves, lo stesso fa l’Italia di cui si sta prendendo cura il ct Conor O’Shea e il suo aristocratico staff. È appena il caso di ricordare che le due realtà sono separate da distanze siderali quanto a qualità media e volume del bacino da cui attingono per allestire la massima espressione agonistica dei rispettivi movimenti. Per non parlare dei campionati domestici! Molto prossimo all’assoluta eccellenza quello che in Francia raggruppa le migliori 14 formazioni di club. Eccellente solo nella denominazione quello di casa nostra, che non a caso fornisce poco o nulla alla Nazionale propriamente detta in termini di elementi convocati. Il meglio del nostro meglio, è cosa nota, disputa un torneo transnazionale tradizionalmente dominato dalle compagini irlandesi con interessanti inserimenti made in Galles o in Scozia. Noi: sempre sul fondo, o appena al di sopra del livello dell’acqua. Messi male, comunque la si voglia vedere.

Tornando alla partita dell’Olimpico (50 mila tagliandi venduti), c’è da dire che il XV proposto dal guru di Tolosa appare discretamente forte nel pacchetto degli avanti, fortissimo dal n.9 in giù. Il triangolo profondo (o allargato) 11 – 15 – 14 è qualcosa di molto vicino al modello perfetto. Estremo giocherà Dulin (non distratto né segnato, dicono, dalla convocazione davanti alla commissione antidoping della Lega), uno che ha cominciato a giocare a rugby che di anni ne aveva già compiuti 16 e che ha costruito una carriera di alto profilo, partendo dal ProD2, lungo la direttrice Agen – Castres – Racing, dove ha molto vinto e convinto assai. Ai suoi fianchi: due ali che una volta sarebbero state catalogate alla voce “Ira di Dio”, capaci di tutto in attacco (e i contrattacco), sufficienti (persino!) nella fase difensiva e di occupazione. Della coppia di centri Lamerat – Fickou l’unico dubbio riguarda il rapporto gerarchico fra i due. Chi è il migliore? Io voto Lamerat, del quale mi piacciono la varietà degli angoli di corsa e la perizia nell’impegnare il diretto avversario, anche in spazi angusti e sotto pressione. Altra “venerazione” che non ho alcuna intenzione di nascondere è quella  nei confronti di Lopez all’apertura. Non trovo particolarmente talentuoso il buon Serin, del quale apprezzo la linearità e una certa pulizia del gesto. Niente a che fare, almeno per il momento, con le vette di talento assoluto cui ci hanno abituato alcuni suoi colleghi pari ruolo anche del recente passato. Parra e Kockot, per citare i meno lontani. Questione di gusti, niente di più. La mischia, cominciando dal n.8, tale Picamoles Louis di anni 31 che a Northampton (pare) abbia letteralmente cambiato pelle e dna. Passando dall’essere un ottimo giocatore allo status di terza centro di inarrivabile valore e costrutto. Il resto della terza linea  è composto da Gourdon  e dal baby Sanconnie (22 anni, di Brive), prelevato da Noves dal gruppo “development” insieme a Dupont (20, Correze) che partirà dalla panchina e gettato nella mischia del Sei Nazioni dei grandi. Un’occhiata alla prima linea per dire che partirà con Baille (23 anni di Tolosa) a sinistra e Slimani a destra. In mezzo a loro capitan Guirado. In panchina si rivede Trinh-Duc e debutta Antoine Dupont, mediano di mischia ventenne di Castres, anche lui del gruppo “developpement”. Il resto sono chili in quantità e buone dosi di talento applicato.

Cosa potrà l’Italia contro questa nazionale francese formato “lavori in corso” è difficile da dire e da prevedere. Partiamo da un’ipotesi di scuola: pareggio nelle fasi di conquista, Canna che governa a dovere il gioco al piede di occupazione territoriale, Favaro che semina il panico nei pressi e nel cuore della zona di collisione, Padovani che conferma il buono fatto vedere fin qui quanto a senso della posizione e pedata, Esposito che non soccombe (aiutato da Campagnaro) sul canale lontano quanto i Galletti proveranno a testarci sugli spazi allargati. Lo stesso dicasi dalla parte di Venditti, che nelle fasi di gioco “non rotto” dovrebbe curare Nakaitaci, con il quale non può competere in rapidità e passo sul breve ma che potrebbe contrastare e battere nello stretto dritto per dritto. Il cuore della linea arretrata, presidiato dalla coppia di centri vende la ditta Lamerat- Fikou prevalere sugli omologhi in maglia azzurra. Possiamo vincere? Sì. Se loro mancheranno di consistenza nelle scelte e di efficacia in fase di realizzazione. E se in chiusa Lovotti si confermerà degno erede dei grandi “sinistri” del passato per i 50 minuti che gli verranno chiesti. In più, per vincere, ci servirebbero un paio di numeri palla in mano di Campagnaro (l’unico che autorizzi tale ottimistica previsione), il piede centrato di Canna e un Gori due o tre spanne al di sopra del suo recente standard. Se poi Parisse decidesse di passare meno la palla e provasse qualcosa di individualmente rilevante contro gente che in Top 4 frequenta con una certa regolarità… Forse non basterebbe per vincere. Ma per restare in partita fino a quel maledetto 80’ che è per Conor O’Shea e i suoi collaboratori, la misura della nostra ritrovata credibilità internazionale.

Tradotto in cifre? Sopra di poco al 40’, sotto il doppio break alla fine. Sempre che si arrivi all'ultimo quarto con i serbatoi decentemente rabboccati.

Ottimista? Sì. E non solo perché secondo il Barone Lo Cicero “questa è la peggior Francia degli ultimi vent’anni”. Ma perché, come disse quel tale: “è meglio essere ottimisti e avere torto piuttosto che essere pessimisti e scoprire di avere ragione”. Si chiamava Alberto, non giocava a rugby anche se quanto a fisico…

 

Le formazioni di Italia - Francia 

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Foto Elena Barbini