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Come di consueto proponiamo il commento post  partita della nostra Nazionale, ieri sconfitta 24-30 dall'Argentina, a cura del nostro opinionista e giornalista Giorgio Sbrocco, un'analisi che va un pò controcorrente rispetto a quello letto recentemente. 

 

Domanda: il 24-30 di Santa Fè che ha aperto il Tour americano dell'Italrugby a trazione irlandese e che ha, fin da subito, escluso il bilancio di "3 vittorie nei tre Test" che il neo capitano Ugo Gori (felicitazioni per la nomina! Assolutamente meritata) aveva indicato come possibile alla vigilia della partenza dall'Italia, è da archiviare alla voce "onorevoli sconfitte"? Da infilare, cioè, in quel (corposissimo) faldone che da anni i nostri Azzurri (in ciò condotti per mano da gran parte della  stampa specializzata e non) alimentano con prestazione anche degne di nota e di (qualche) plauso, sempre e regolarmente però prive del marchio di qualità del successo?

Sì. Perché andare in Argentina il 12 di giugno, con una squadra allestita in un paio di settimane con ciò che resta di una Nazionale asfaltata (nel morale, non solo in campo) da uno dei peggiori Sei Nazioni della sua storia e con una guida tecnica al debutto assoluto, e non uscire disintegrati dal confronto con la Nazionale di casa, non è impresa facile per alcuno. E una volta scesi dall'aereo e entrati in campo, mettere a referto due mete (la seconda, quella dello scozzese Favaro, a conclusione di un drive dopo conquista in rimessa laterale, fase di gioco nel cui contrasto gli argentini sono indiscussi maestri), infilare 14 punti di piede con Canna e chiudere il match sotto il break, NON è accadimento che meriti l'anonimato dell' "anche stavolta le abbiamo prese", con l'aggiunta del doveroso: "certo che senza Parisse e Ghira là davanti...".

No. Perché se salto di qualità deve essere (e ogni volta che si ricomincia da zero, rinnovando radicalmente identità e impostazione metodologica della guida tecnica, è il salto l'obiettivo dichiarato), questo non può non passare per l'esito delle sfide. E questa sfida ha detto che l'Italia che oggi è possibile mandare in campo NON possiede le risorse per battere una formazione (di fatto i Pumas di Santa Fè) rodata dal Super Rugby australe. Non una Nazionale che occupa i vertici del Ranking mondiale ma... quasi. Sono partite come quella di Santa Fè che scrivono la storia, e sono sconfitte come quella che ha aperto il giro americano del nostro rugby, che ci impongono riflessioni. Siano esse amare e, per una volta, libere dal condizionamento dell'amor di patria (ovale) e dal tentativo (sempre e comunque) di vedere o scorgere bicchieri mezzi pieni.

Se il 2016 targato O'Shea entrerà negli annali del rugby di casa nostra come l'Anno zero del nuovo corso di una Nazionale che NON intende ripetere le figuracce del passato recente e si propone nuovi e più ambiziosi traguardi, allora è giusto e sensato sostenere che la strada è cominciata in salita. E che sui tornanti di quest'erta maledetta, giù, vicino ai confini del mondo, per dirla con Francesco (il Papa), i nostri ragazzi si sono piantati all'ultimo chilometro. 

Senza indulgere in inutili elogi degli assenti e, soprattutto, senza magnificare le doti di un tecnico (dotato di suo e che non ha alcun bisogno di accreditarsi, adesso, come allenatore di altissimo profilo) che al comando della barca di cui ha da poco acquisito il comando deve ancora, per forza di cose capire dove e come mettere le mani. O i piedi, se qualche calcio nel di dietro a qualcuno si rivelerà necessario o utile alla causa.

Giusto per chiarire: il contrario di "sconfitta onorevole" non è "sconfitta disonorevole". Non c'è niente di disonorevole in una sconfitta. Mai. Il contrario di una "sconfitta onorevole" è una vittoria!

 

ps - Tanto per restare tutti con i piedi per terra: al Mondiale under 20 oggi la nostra Nazionale ha perso 38-10 con l'Australia. L'under 20 argentina ha battuto 19-13 il Sud Africa.

 

Giorgio Sbrocco per Rugbymeet

 

Foto Fir

 

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