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Succede. Che fra i pochi spettatori di un partita di serie A (Primavera – Gran Sasso) ce ne sia qualcuno che si ritiene in diritto di entrare in campo e di distribuire una serie di sganassoni che, a suo insindacabile giudizio, rappresentano la giusta sottolineatura a quanto accaduto sul terreno di gioco. O che, qualche chilometro più a Nord, Parma, in serie B, un giocatore in maglia viola (Florentia) ritenga giunto il momento di sferrare un diretto al volto di un avversario, nella quasi certezza di non essere visto, stante la lontananza dell’accaduto dal cuore dell’azione e perciò dell’arbitro e dei suoi collaboratori. Infine (infine, nel senso che speriamo che di fine si tratti davvero) a Paganica, nel corso di una partita di under 18 (Paganica – Appia Roma), un adulto è entrato sul terreno di gioco e ha menato uno dei ragazzini in campo.

Pare che ogni 100 mila esseri umani abitanti il pianeta terra, uno sia clinicamente pazzo furioso, quindi capace di tutto. Non esistono dati attendibili sulle percentuali degli imbecilli e degli idioti. Categorie che, come da tempo dimostrato, rappresentano per la società civile un pericolo e producono un nocumento molto maggiore a quello arrecato all’intero consorzio umano a opera dei malfattori di professione, dai mafiosi ai serial killer. Per la banalissima ma fondamentale ragione che i secondi, al contrario dei primi, qualche volta si riposano, staccano la spina e interrompono la loro funesta azione di disturbo e di degrado.

Che i tre episodi riportati in apertura siano riconducibili al mondo del rugby non deve però creare alcun particolare allarme. Né scatenare riti collettivi di stracciamento delle vesti al coro di “Ma come è mai potuto accadere? Anche da noi, nel luogo di elezione dei valori fondanti e condivisi! Da noi, dove si spezza il pane dello sport nel nome della fratellanza e dell’etica! Da noi che siamo in tutto e per tutto un mondo a parte!”.

Per favore: evitiamo di cadere nella fossa comune del buon senso, e di dibatterci starnazzanti dentro il pozzo nero della banalità. Noi del rugby, ammesso e non concesso che un “Noi ovale” esista ancora e che di un “Noi”, oggi, abbia davvero senso parlare, non siamo, ripeto: non siamo, diversi o distanti dalla materia prima di cui siamo il naturale portato.

Proveniamo cioè da una società, tanto per (provare a) capirci, capace di esprimere giovani che davanti a un loro coetaneo che sta morendo ai bordi di una strada, trovano normale riprenderne gli ultimi istanti di vita per poi postare le immagini dell'agonia su qualche fottuto social. Siamo anche quelli che, incapaci di mettere un minimo di ordine e imporre la legalità nelle curve di quattro campi di calcio, ci purifichiamo la coscienza consegnando agli eroi in mutande e calzettoni sopra il ginocchio, copia di un libro che molti di loro farebbero tecnicamente fatica a leggere.  E con quello in mano li mandiamo al lavoro con l’ordine di regalarlo ai raccattapalle. Siamo il paese dove i figli vanno a vivere da soli, o comunque fuori dalla casa dei genitori, mediamente all’età di anni 34, e che fino agli anni 14 devono essere accompagnati e ritirati al cancello della scuola da uno degli esercenti la patria potestà, o da un loro incaricato, meglio se nonno o nonna, così la ministra dell’istruzione pubblica potrà invidiare qualcuno. Non ci manca niente! Nemmeno un fotografo da tempo sul viale del tramonto, secondo l' illuminato giudizio del quale, un'intera regione del nostro paese (fatti salvi i componenti della dinastia che gli garantisce il pranzo e la cena) è composta da alcolizzati, incestuosi, ignoranti e stupidi.

Domanda: ma cosa c’è di scandaloso o di strano se attorno o dentro al nostro (nostro?) ambiente gravitano e si agitano figuri come quelli che lo scorso week end si sono esibiti in Abruzzo, Emilia e Lazio? Niente, purtroppo.

E non si tratta di una buona notizia.