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Il ritiro prestagione è rimasto per molti anni un’iniziativa di società professionistiche o semi-professionistiche, mosse dall’obiettivo di arrivare all’inizio dei campionati con una forma fisica già soddisfacente. Nonostante l’accento principale della preparazione sia rimasto sull’aspetto fisico, non è sfuggito anche un altro elemento fondante di questo tipo di esperienza: quello della costruzione di relazioni, di approfondimento delle conoscenze personali e di composizione delle energie personali di tutti verso un obiettivo comune di squadra. Ecco perché’ questa iniziativa si è ben presto estesa anche alle squadre amatoriali o a quelle del settore giovanile, che organizzano con fantasia e pochi mezzi anche singole giornate dedicate allo stare insieme.

Il tempo passato in compagnia di staff e compagni di squadra in questo periodo dell’anno è particolarmente prezioso: non possiamo correre il rischio di sprecarlo, lasciandolo all’improvvisazione.

Tutto quello che facciamo in estate è infatti avulso dalla pressione della prestazione e della competizione. In questa situazione possiamo sperimentare attitudini e comportamenti con l’obiettivo di arrivare a conoscere meglio i livelli di tensione ottimale dei singoli e della squadra. E’ un momento ottimo per riflettere insieme e per creare una base di condivisione (di idee, di sensazioni, di suggerimenti) sul tema della gestione mentale che costituirà un punto di riferimento vitale con la stagione in pieno svolgimento.

Parlare. Non dovremmo perdere occasione per far parlare i membri della squadra tra di loro e per sollecitare un ascolto attivo, pieno, consapevole. E’ possibile capire se una squadra è matura dal punto di vista delle relazioni (quindi se è una vera squadra) osservando la quantità e la qualità della comunicazione fuori e dentro al campo. Conoscersi infatti vuol dire prima di tutto saper comunicare e la comunicazione parte dall’ascolto e dall’osservazione.

Durante il Camp Estivo femminile di questa estate all’Isola d’Elba, ho suggerito questo esercizio alle ragazze: “Quando siete in pausa a bordo campo, osservate le espressioni del viso delle vostre compagne mentre giocano. Cercate di individuare le emozioni che stanno dietro a quei movimenti involontari del viso: rabbia, felicità, tristezza, sorpresa, paura…”. Un lavoro basilare che puo’ essere approfondito con una persona capace di guidare una o piu’ chiacchierate sulla natura delle emozioni.

Teniamo presente che gli atleti, di qualsiasi età, non devono per forza diventare amici. Allo stesso tempo, sono inutili tutti quei riti forzati che hanno l’obiettivo di creare un senso di appartenenza a tutti i costi: la motivazione per abbandonare l’individualismo a favore del gioco di squadra non è un semplice atto di volontà. Quello che deve accadere è gli atleti sviluppino una base comune, un allineamento emozionale che permetta alla squadra di nascere e svilupparsi come entità superiore rispetto ai singoli. Non si tratta quindi di diventare per forza tutti amici, ma di conoscerci abbastanza da sapere cosa ognuno puo’ dare alla squadra e (di pari importanza) cosa la squadra puo’ dare al singolo.

Queste riflessioni sugli aspetti mentali della prestazione possono essere inserite negli esercizi di tecnica e di potenziamento fisico, gradualmente, in modo da farle diventare un elemento costante della preparazione. Durante la stagione, quando i risultati diventano una distrazione costante rispetto alla prestazione stessa, sarà probabilmente complicato impostare un lavoro del genere.

 

 

Foto Martina Sofo