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Continuiamo l’approfondimento sulla preparazione atletica, o meglio Strength & Conditioning, nel campionato di Premiership con Francesco Dimundo, coach dei Worcester Warriors e ricercatore presso la Birmingham City University in un progetto che sta investigando sui processi di supporto alla d’Identificazione e alla Crescita dei Talenti Sportivi (leggi qui la prima parte dell’intervista).

 

Come viene vista, invece, la preparazione atletica dai giocatori?

A livelli professionistici la preparazione atletica è vitale e ai giocatori piace molto. E’ bello vedere che i ragazzi, anche da giovane età, si sfidano in palestra e sul campo in competizioni di sano cameratismo, e poi per esempio, in sala pesi, quando uno di loro raggiunge il massimale o segna un personal best, si suona una campana e tutti celebrano il progresso del singolo. Questo fa parte del fattore “testa”, fa parte dell’incremento della coesione del gruppo, vitale in una squadra ed ancora di più in una squadra di rugby:  fa parte del soffrire, del vincere ed essere coesi. Come ben sanno i giocatori però, il “cuore” non basta per essere considerati atleti di Premiership. Infatti, ormai in ogni club inglese, riecheggia sempre il motto “champions do extra!”. Se non si è pronti a lavorare duro, ad essere disciplinati, a badare ai dettagli, a dare un extra qualitativamente alto misurabile e tangibile, ci si può scordare di stare in Premiership. Quest’ultimo concetto vale anche per i tecnici ovviamente.

Facendo un confronto con l’Italia però, possiamo dire che dal punto di vista della preparazione atletica non abbiamo nulla da invidiare agli altri paesi. Non è vero, insomma, che l’erba del vicino è sempre più verde. Infatti, è proprio in Italia che sono nati i primi concetti di allenamento della forza. Quindi, come viene percepito tutto ciò all’estero?

Sono pienamente convinto che l’Italia, nello sport, non abbia assolutamente niente da invidiare ad altri paesi in termini di preparazione atletica, sia a livelli nazionali che internazionali. Personalmente, sono fiero di essere uno strength and conditioning coach italiano vissuto all’estero. Dal momento che nella maggior parte dei casi l’investimento sia strumentale che di personale dei club italiani nella preparazione atletica, sfiora livelli di “appena sufficienza” (molti dei preparatori atletici infatti sono addirittura volontari), è evidente come i giocatori italiani compiano davvero miracoli in campo. Infatti, è da apprezzare la forza dello staff dei nostri club e dei giocatori che con meno risorse riescono a raggiungere ottimi risultati in campo. D’altronde, le squadre samoane e figiane ci insegnano come, anche se si possiedono risorse economiche pari a zero, la qualità dei loro allenamenti è altissima. Non ci si può, però, non domandare quale sia il termine di paragone che alcuni strength and conditioning coach italiani utilizzano per valutare il livello della qualità della preparazione atletica in Italia, degli standard di allenamento nei club nostrani rispetto alle squadre estere (ad esempio della Premiership). Ho avuto modo di sentire di colleghi italiani che autoelogiavano l’operato nostrano senza avere la minima idea delle normali pratiche d’oltralpe. Mi spiego meglio: bisognerebbe chiedersi come si è certi che la qualità delle metodiche utilizzate dai preparatori italiani sia pari o addirittura superiore a quelle di Premiership? Per rispondere a questa domanda sarebbe più ragionevole conoscere da vicino le caratteristiche che si stanno confrontando. Non avere un termine di paragone, e soprattutto, non aver praticato all’estero il ruolo di strength and conditioning coach, rappresenta un fattore che rischia di portare a conclusioni non completamente oggettive. Quindi, si dovrebbero conoscere entrambe le realtà sportive per avere un’idea chiara sulla grandezza delle differenze. Una volta conosciuta la diversità delle realtà, si dovrebbe poi accettata la propria posizione e procedere nel colmare eventuali divari qualitativi, per non rischiare di riprodurre lo scenario della famosa favola della “volpe e l’uva”, in cui il preparatore si “culla” del fatto che non c’è bisogno di fare degli sforzi extra. Invece, per quanto riguarda la teoria dell’allenamento della forza sono convinto che gli insegnamenti del Prof. Carmelo Bosco, uno dei “padri” della preparazione atletica, debbano essere conosciuti da ogni preparatore atletico. Però, ritengo che non si possa far finta che il mondo della ricerca e della sperimentazione nella preparazione atletica si sia fermato a quarant’anni fa ed è bene quindi mettersi al passo con i tempi.

 

Adesso però scendiamo ancora di più nel pratico: quali aspetti fisici dei giocatori vengono allenati maggiormente nei club di Premiership?

Tutti gli aspetti fisici vengono allenati adeguatamente dai club di Premiership, dal momento che la richiesta atletica del rugby, descritta nella risposta alla prima domanda di quest’articolo, impone alte qualità coordinative e condizionali da parte dei giocatori. In particolar modo però, gli aspetti di forza e potenza ricoprono un ruolo fondamentale nell’allenamento settimanale di un giocatore. Si prediligono perciò allenamenti di forza provenienti dal powerlifting (ad esempio squat, deadlift, benchpress, e varianti) ed allenamenti di potenza (sia quelli di tipo strength-speed che speed-strength) provenienti dal mondo dall’olympic weightlifting (come per esemprio clean, jerk, snatch, pliometria e varianti). Lo sprint così come l’agilità sono elementi fondamentali nel rugby union e quindi tutti i lavori che mirano a migliorare accelerazione, velocità massima ed endurance dello sprint e dei cambi direzionali sono messi al centro di ogni sessione di allenamento. Importantissimo è invece l’elemento che unisce forza, potenza, massa del giocatore e velocità: questo è definito come “momento dello sprint”. Se forza e potenza vengono allenati con specifici esercizi a determinati carichi di lavoro, la velocità della corsa viene allenata anche attraverso il miglioramento della tecnica di sprint, la massa del giocatore invece, deve necessariamente essere allenata con specifiche tecniche che mirano all’ipertrofia muscolare. Il processo di accrescimento muscolare deve essere poi supportato dal piano nutrizionale individualizzato. La centralità di questo punto rappresenta la chiave per innalzare il successo di una squadra. Interessanti ricerche scientifiche appena pubblicate dal nostro team dimostrano, infatti, come l’alto livello di massa magra di un giocatore è fortemente correlato al livello di rugby in cui gioca. In poche parole, le squadre con giocatori muscolarmente più grossi e veloci sono le squadre che giocano ai più alti livelli di rugby nazionale ed internazionale. Chiaramente, agilità, cambi di direzione e capacità aerobica ed anaerobica sono caratteristiche fisiche che i giocatori di Premiership allenano utilizzando modalità specifiche di training che vengono strutturate in una calibrata programmazione giornaliera, settimanale, mensile ed annuale e vengono differenziate per ruoli.

 

Quali metodologie utilizzano maggiormente in Premiership per reclutare il personale dello strength & conditioning?

Innanzitutto competenza e professionalità. Un percorso accademico comprovato, qualifiche internazionali e anni di esperienza sul campo. A queste si uniscono, come ho già detto, caratteristiche inter ed intra personali fondamentali per essere un affidabile Leader. La loro teoria nel reclutamento è semplice: se si vuole portare il gruppo atleti ad alti livelli, bisogna iniziare a reclutare personale competente – cosa che non è scontata al giorno d’oggi in altre realtà europee.

 

Per concludere, dalla tua esperienza con i due club di Premiership (Wasps e Worcester Warriors) qual è il consiglio che sentiresti di dare a coloro che già lavorano nella preparazione atletica o che stanno intraprendendo il percorso da preparatore nel rugby?

In maniera esplicita suggerirei quello che mi hanno sempre consigliato e che riporto costantemente ai miei studenti universitari e tirocinanti: aggiornarsi sempre, praticare in maniera professionale quello che “si predica” e, soprattutto, leggere articoli che riportano studi, ricerche e sperimentazioni internazionali. Bisogna sempre ricordare che se si vuole allenare giocatori d’élite bisogna allenare da élite. L’aggiornamento è estremamente importante nel settore della preparazione atletica perché il nostro lavoro ha la bellezza di fungere da ponte fra scienza e pratica, quindi se la scienza avanza ogni anno, anche la pratica deve adattarsi. Bisognerebbe convincersi, in generale, dell’idea che un buon giocatore non è automaticamente anche un buon allenatore. Bisogna ribattere ad un allenatore che prescrive allenamenti sulla base del “si è sempre fatto così, io mi allenavo sempre così” che la pratica sportiva a livello internazionale è il risultato dell’esperienza passata in aggiunta alla conoscenza scientifica evoluta. Il percorso formativo non ha mai fine ma è in costante aggiornamento. Concludendo, quindi, suggerirei di essere felici di essere i primi a conoscere le novità del settore e a metterle in pratica. Il confronto costante con colleghi e la voglia di migliorarsi dovrebbe essere il motore che ci spinge a fare bene il nostro (complesso) lavoro.