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Ognuno di noi rugbisti ha il suo “guru” del rugby, quel personaggio che ne ha viste tante, quella persona con cui a fine allenamento ci si ferma a parlare di rugby per ore, preferibilmente con qualche birra al tavolo. Noi di Rugbymeet abbiamo la fortuna e il piacere di conoscere Nick Scott, ex Head of coach per la RFU (una sorta di allenatore degli allenatori della federazione inglese), oggi Direttore Sportivo del Rugby Colorno. Per 12 anni dai suoi uffici a Twickenham sono stati formati migliaia di allenatori inglesi. Con il 57enne originario di Lincoln (Inghilterra) vogliamo parlare di movimento italiano, di quello che ci manca per raggiungere le grandi Union europee visto che mai come in questi anni il gap sembra sempre più incolmabile.

 

Dopo una intera stagione hai avuto modo di conoscere a pieno il rugby italiano. Cosa più ci manca per pareggiare il livello con le altre federazioni?

“C’è una frase che continuo a sentire da quando sono arrivato in Italia, da molti ho sentito dire “il problema in Italia è… I problemi del rugby italiano sono…”. Penso siano solo tante scuse o alibi. Per me invece di cercare scuse sul perché non funzionano le cose nel rugby italiano dobbiamo focalizzarci sulle opportunità che ci possono essere qui in Italia.”

 

Quindi basta lamentarsi e iniziare sviluppare le qualità del nostro rugby?

“Esatto. Manca più la mentalità positiva rispetto al gioco. In questi 12 mesi ho potuto vedere  giovani italiani con ottime skills, con grandi abilità fisiche, forse anche meglio dei pari età inglesi perché qui i giovani sono più motivati.”

“Secondo me non è un problema dei giocatori o dei settori giovanili ma è più un problema dirigenziale, organizzativo e tecnico a livello seniores.”

“Il rugby italiano non potrà crescere mai finché non si smette di cercare scuse o alibi”.

 

Ma quali sono le nostre qualità?

“In Italia c’è un clima fantastico per giocare a rugby, migliore di quello che troviamo in Inghilterra. Qui non c’è il problema della pioggia come oltre la Manica e in base a questo clima mi chiedo perché in Italia si cerca di sviluppare un gioco più fisico che tecnico.”

“In Italia non c’è il problema dell’obesità come in UK - continua Scott - semplicemente perché la cucina italiana è migliore di quella britannica. Inoltre il sistema scolastico italiano da molte più possibilità di giocare a rugby rispetto a quelle offerte ai giovani in Inghilterra.”

 

Davvero? In Italia ci si lamenta delle sole due ore settimanali di educazione fisica.

“In Inghilterra si gioca a rugby praticamente solo nelle scuole private. Solo una minima parte delle scuole pubbliche praticano rugby negli orari di lezione.”

 

In una precedente intervista ci raccontavi che anche a livello giovanile in Italia si dovrebbe cambiare qualcosa.

“Un grosso problema è il fatto che in tutte le categorie giovanili, soprattutto per i bambini, c’è un trofeo da vincere. Gli allenatori preparano il gioco per vincere la coppa del mese e non preparano i ragazzi a crescere per il futuro, in un percorso da qui ai prossimi 5 anni. Danno semplicemente la palla al più grosso così fanno meta e vincono. Ma quando passato il periodo pre adolescenziale i fisici saranno molto simili allora non basterà più dare la palla al più grosso di turno. Bisogna necessariamente sviluppare altre abilità.”

“Oggi i giocatori arrivano al rugby seniores preparati a giocare le partite di 5 anni fa….” conclude Nick Scott.

 

 

 

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