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Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.” (Frase preferita di Gianni Mosconi)

"Ho placcato un inglese. Ostia se era duro!" (Gianni Mosconi)

Perché Gianni Mosconi, un nome che forse a qualcuno non dice nulla, trova spazio nella galleria di leggende del rugby al fianco di gente come Jonah Lomu e Sergio Parisse? La risposta è semplice; perché chi scende in campo tutte le domeniche, sputa l’anima per dare sempre il massimo, placca e viene placcato, oppure spinge in mischia, e finisce la partita con più ematomi e punti di sutura che soldi in tasca, non è meno eroe di chi ha vinto un mondiale o conquistato il Sei Nazioni.

Gianni il suo rugby lo ha vissuto negli anni ’60, in un’epoca in cui i palloni di cuoio e le scarpette erano più pesanti, le maglie diventavano fradice sotto la pioggia e i campi estremamente fangosi. Era il mondo dei dilettanti, lontano anni luce dalle tecnologiche condizioni di gioco in cui si fronteggiano gli attuali gladiatori della palla ovale. Gianni era un trequarti veloce, sgusciante, imprevedibile, che ha indossato la maglia bianca e rossa di quella che allora si chiamava Rugby Milano, poi diventata Milano Diavoli e che oggi è conosciuta come ASR Milano. Gianni era uno degli eroi che pagavano la quota annuale di cinquemila lire e si allenavano dopo le 20, perché prima si lavorava o si studiava. Gianni era un grande atleta e un uomo ancora più grande ed il suo rugby lo ha portato dentro di se sino al giorno maledetto in cui è stato placcato dal peggiore degli avversari: la Sclerosi Laterale Amiotrofica.
 
Gianni Mosconi è nato il 19 febbraio 1941 a Trieste, terzo di quattro fratelli, tre dei quali, i maschi, tutti dediti al gioco con la bislunga: Paolo, di quattro anni più vecchio, e Roberto, più giovane di due. L'unica femmina era la primogenita Lucia. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, però, l'aria che si respirava nella città giuliana non era delle migliori. I comunisti italiani si erano industriati nel favorire l’occupazione della regione da parte delle truppe di Tito, il quale intendeva annetterla alla Jugoslavia. Di conseguenza, chiunque si definiva contrario alla sua idea era da considerarsi un nemico, fosse esso un bersagliere del Battaglione Mussolini o un combattente delle Brigate Partigiane. Tutti, allo stesso modo, venivano arrestati e avviati ai campi di prigionia da dove non sarebbero più tornati, o in alcuni casi eliminati subito. Il padre di Gianni, che durante il conflitto aveva lavorato negli uffici dell’esercito, ha pensato bene che era meglio fare i bagagli e andarsene lontano. La famiglia Mosconi è così approdata a Milano, dove Gianni è cresciuto studiando prima ragioneria e poi da geometra. Il suo sogno era quello di iscriversi ad architettura, ma il sogno è rimasto chiuso nel cassetto, perché il padre ha deciso altrimenti e lo ha messo a lavorare nella sua ditta di trasporti internazionali.

Gianni ha iniziato a praticare il rugby all'età di 15 anni nel Rugby Milano, sotto la guida di Panti, il quale gli ha fatto provare un po’ tutti i ruoli finché si è accorto di avere tra le mani un trequarti veloce e intuitivo, dotato di una corsa ricca di serpentine e con una buona propensione a volare oltre quella linea disegnata col gesso. Così, in sole tre stagioni, Mosconi è passato tra le riserve della prima squadra, per poi diventare titolare all’età di 19 anni. Si era all’inizio degli anni ’60. Il club dell’allora presidente Camillo Schiavina militava nella massima serie nazionale e metteva in scena derby infuocati con l’altra formazione meneghina: l’Amatori Milano.

Nel 1961 Gianni è partito con i bianco-rossi per l'Inghilterra, dove il 23 settembre è stata affrontata la formazione del Cheltenham Rugby.

L'anno successivo la squadra ha preso la denominazione di Milano Diavoli, ma nel 1965, causa la mancanza di fondi, il nuovo presidente Carlo Curti non è riuscito ad iscrivela al campionato e la società è stata assorbita dal CUS Milano.

Proprio nel 1965, quando l'estate stava ormai languendo, Gianni ha fatto parte di una spedizione che ha portato in Inghilterra e Galles una super squadra italiana denominata Old Rugby Roma. I giocatori si sono ritrovati all'Aquacetosa a fine agosto agli ordini di Gianni Del Bono, dove in soli cinque giorni hanno provato a smaltire gli eccessi accumulati durante le vacanze e riprendere un po' di vigore fisico. A causa di questa preparazione piuttosto sommaria tutte e tre le sfide sono state perse, anche se a Llanelli, dove finalmente gli italiani hanno trovato la forma, sono andati molto vicini a sfiorare l'impresa. In un'epoca di puro dilettantismo tutti gli atleti si sono visti costretti a prendere 20 giorni di ferie dal lavoro o dallo studio; lo stesso vale per Gianni, il quale ha ottenuto il benestare di suo padre, sempre molto fiero di lui e dei suoi fratelli.

Di fatto la Old Rugby Roma altro non era che la nazionale mascherata, in quanto schierava i migliori giocatori nostrani del periodo, la maggior parte dei quali con presenze in maglia azzurra. Oltre a Mosconi, del team facevano parte Luciano Modonesi e Umberto Conforto del CUS Genova, il centro petrarchino Roberto Luise, Franco Zani, che militava in Francia nell'Agen, Franco Mazzantini, padre di Matteo, l'aquilano Antonio Di Zitti, il romano Maurizio Bocconcelli, Carlo Salmaso, flanker delle Fiamme Oro di Padova, il pilone della Faema Treviso Lollo Levorato e Gianni Taveggia, il quale, però, si è fratturato uno zigomo in allenamento prima dell'incontro con gli Harlequins ed è stato costretto ad abbandonare il tour sostituito da Lucarelli. E poi D'Anteo, Bertoli, Giani, Avigo, Tricoli, Vaghi e i compagni di Gianni al Milano, Ettore Giugovaz e Franco Soro. Quest'ultimo è stato anche il cronista del viaggio. La leggenda narra che, udendo gli avversari cantare gli inni del proprio club ed essendone loro sprovvisti, gli italiani ne hanno inventato uno sul momento.

Martedì 7 settembre 1965 il XV romano, che vestiva maglie a strisce orizzontali bianche e nere, ha giocato nel tempio del rugby londinese di Twickenham contro gli Harlequins. I padroni di casa hanno attaccato sin dall'inizio con il loro veloce gioco alla mano e alla fine del primo tempo erano già avanti 16 a 0. Gli italiana sembravano destinati ad una disfatta totale, invece nella ripresa, sistemata la difesa e migliorato il gioco d'attacco, si sono viste le azioni migliori. Antonio di Zitti, seconda linea che calciava tra i pali, ha realizzato 3 punti con un piazzato e la Old Roma non ha più subito punti. La partita è terminata 16 a 3.

A quel punto, dopo una breve visita alla città di Londra, la squadra si è trasferita in Galles, dove ha disputato una partita contro il Cardiff in un affollato Arms Park. L'inizio gara è stato violento, con le due mischie che si sono fronteggiate senza risparmiare i colpi proibiti. Franco Zani è caduto nella trappola degli avversari e ha commesso l'errore di accentrare il gioco su di se. Ad un certo punto Ettore Giugovaz ha tentato di calciare in touche, ma l'ovale ha colpito Mosconi che stava rientrando ed è rotolato nell'area di meta italiana, facile preda di Steve Hughes. Alla marcatura è seguito un piazzato di Alan Priday, ma i bianco-neri non si sono demoralizzati, anzi, hanno imbastito alcune belle azioni d'attacco, una delle quali ha portato Gianni a sfiorare la meta. Il trequarti ala del Milano ha voluto andare a marcare in mezzo ai pali per favorire la trasformazione, ma è stato placcato da Billy Hullin e ha perso la palla. Antonio di Zitti ha in seguito riportato i suoi in partita grazie ad un calcio di punizione da oltre 30 metri, ma sono stati questi gli unici punti italiani. Alla fine i gallesi marcheranno altre due volte ed il risultato finale li ha visti vincere 14 a 3.

L'ultimo incontro del trittico è andato in scena allo Stradey Park contro il Llanelli, squadra in cui militava un giovane Barry John, colui che da lì a poco avrebbe imparato a camminare sulle acque. Quel giorno l'apertura gallese ha realizzato il drop ad un quarto d'ora dalla fine che ha pareggiato la meta di Carlo Salmaso. Poi i gallesi hanno valicato a loro volta la linea proibita e la sfida è terminata 6 a 3.

dai ricordi di Gianni Mosconi


 

Nella stagione 1965-66 i bianco-rossi milanesi sono stati gli unici, assieme all'Amatori Milano, a sconfiggere la Partenope di Elio Fusco, squadra che avrebbe conquistato lo scudetto. Al Giuriati, la quinta giornata, è finita 6 a 3. Il Milano è riuscito anche a conquistare la serie di derby con l’Amatori: 11 a 11 all'andata e 6 a 3 al ritorno. A fine campionato il club di Gianni ha terminato con un punto in più rispetto i cugini. L’impresa più grande, però, è arrivata l’anno successivo, grazie soprattutto ai tre Mosconi.

Il campionato 1966-67 ha visto Roberto Mosconi, per tutti Roby, raggiungere i fratelli maggiori tra le fila della squadra milanese, completando un trio che, come ha scritto a suo tempo il giornalista Aldo Foà: “è una forza dei biancorossi milanisti, una forza che dà il suo grande contributo tanto in difesa quanto in attacco e che sempre più si affermerà nel complesso più forte che mai il sodalizio milanista abbia avuto dalla sua fondazione.”
L’allenatore della squadra era Lino Luciani, che aveva portato sotto la Madonnina un gioco divertente, aperto e alla mano. Gli eroi sul campo, tutti studenti e lavoratori che si allenavano nelle nebbiose serate milanesi, hanno nomi che riportano ad un rugby dal sapore buono: Soro, Brolis, Saccani, Simpson, Orsetti, Righi, Dodi. Mores, Polodini, Galletto, Stagno, Giugovaz e, naturalmente, Paolo, Gianni e Roby Mosconi.

I meneghini hanno iniziato il campionato alla grande. Pareggio a Bologna 3 a 3, seguito dalla vittoria per 6 a 5 sul Petrarca, dal 5 a 0 rifilato alla Lazio e dallo 0 a 0 a Parma. Poi, la quinta giornata, al Giuriati è approdato il forte Rovigo di Maci Battaglini. Ebbene, contro ogni previsione, non solo quel giorno il Milano ha vinto, ma ha anche rifilato ai polesani una lezione che avrebbero ricordato per un pezzo. La sfida è terminata 41 a 3 e di mete i padroni di casa ne hanno realizzate ben nove, tre delle quali merito della famiglia Mosconi: due di Paolo, tra cui la prima dell’incontro, e una di Gianni, l'ultima. Gli altri a superare la linea proibita sono stati Mario Galletto, Franco Soro, Ettore Giugovaz, Sandro Saccani e due volte Alfredo Brolis, mentre il cecchino Orsatti le ha trasformate tutte, tranne quella di Gianni. Ai rossoblù è stato concesso solamente il drop di Romano Bettarello, padre del grande Stefano.
Dopo una decina di anni una squadra di Milano si è ritrovata in cima alla classifica del campionato italiano.

La sfida successiva è stata un 3 a 3 con i campioni in carica della Partenope. Quindi, dopo due sconfitte in casa della CUS Roma e a L’Aquila, la compagine di Luciani ha trionfato nel derby con l’Amatori per 8 a 6. È seguita la batosta casalinga con le Fiamme Oro e l’8 a 0 rifilato al Livorno l’ultima di andata.
Le prime giornate di ritorno hanno visto Gianni e suoi compagni restare agganciati ai vertici della classifica grazie a due vittorie e al pareggio conseguito all'Appiani di Padova. A quel punto, però, dalla quinta giornata in avanti, ovvero dal ritorno con il Rovigo, i ragazzi non sono più stati in grado di vincere una sola partita. Alla fine il Milano è arrivato nono con 18 punti, uno in meno dei rodigini.

Il Milano del 1965. In piedi: Soro, Brolis, Simpson, Orsetti, Saccani, Dodi, Gianni Mosconi, Righi, l'allenatore Luciani. Accosciati: Mores, Paladini, Paolo Mosconi, Galletto, Stagno, Giugovaz, Roberto Mosconi


 

Le imprese di Gianni non sono passate inosservate ed il 31 dicembre 1966 il ragazzo è stato convocato per disputare una partita con la maglia azzurra numero 11 della Nazionale B. L’incontro è andato in scena a Prato e l’avversario era la Polonia. Alla fine ha vinto l’Italia 9 a 6, con tre calci di punizione di Roberto Martini. Della formazione facevano parte il compagno di Mosconi al Milano Mario Galletto, Marco Pulli del Rugby Parma, il futuro giornalista sportivo Giacomo Mazzocchi, Franco Mazzantini ed il fiorentino Mauro Mattei.

La stagione seguente la squadra dei Mosconi si è classificata all’ottavo posto in campionato; ha pareggiato la prima giornata con i campioni in carica de L’Aquila, ha sconfitto ancora il Rovigo, tanto all’andata quanto al ritorno, e ha visto l’altra squadra meneghina retrocedere.

Nel 1969, invece, i ragazzi del CUS Milano hanno vinto soltanto tre partite e questa volta sono stati loro a scendere in serie B. A quel punto Sandro Saccani ha rifondato l'ASR assieme ad altri vecchi dirigenti, ma la squadra non sarebbe più riuscita a risalire nel massimo campionato italiano.

Gianni ha continuato a giocare sino all’età consentita dal regolamento, 40 anni, per poi calcare i campi nella categoria Old. Ma non solo. Sportivo a tutto tondo, il ragazzo si è impegnato parecchio anche con la barca a vela e lo sci. In quei giorni gloriosi casa Mosconi, in zona Certosa, era sempre affollata di personaggi legati al rugby. Tra questi spiccava un certo Marco Bollesan, che ha risieduto nove anni a Milano, dal 1977 al 1985, militando prima nel CUS e poi nell’Amatori, dove è stato anche allenatore.

Nel 1991 Gianni ha fatto parte di una squadra di “vecchietti” che ha rappresentato l’Italia in un torneo che si è svolto in Australia. È stato un raduno enorme, che ha coinvolto oltre 19000 persone di tutto il mondo. La nota divertente era rappresentata dai giocatori over 70, ai quali era stato fatto indossare un paio di pantaloncini gialli per evitare che fossero placcati dai più giovani.



Purtroppo, e siamo all’epilogo della storia, nel 1993 Gianni ha prima perso l’uso della parola, quindi ha iniziato ad avere problemi di equilibrio e a faticare nel tenere gli oggetti in mano. La diagnosi è stata tra le più terribili: Sclerosi Laterale Amiotrofica, tristemente nota come SLA, la stessa bestia cattiva che recentemente si è portata via anche il campione sudafricano Joost van der Westhuizen. La velocità, le serpentine e le finte con le quali per anni Gianni aveva evitato avversari grossi il doppio di lui non sono servite e alla fine è arrivato il placcaggio più duro.

Gianni Mosconi ha lottato tenacemente per due anni, assistito dalla moglie Maria e dalle sue tre figlie, finché, il 24 marzo 1995, alla giovane età di 54 anni, è stato costretto a passare l’ovale.

Gianni Mosconi non ha vinto una Coppa del Mondo di rugby, non ha preso parte al Sei Nazioni e non ha conquistato neppure il titolo di campione d’Italia, ma è stato un atleta onesto, che ha amato il suo sport sino alla fine, e un uomo altrettanto onesto fuori dal campo. Per tale motivo la sua presenza in questa galleria di miti e leggende della palla ovale non è meno importante di quella dei campioni più blasonati.

 

RINGRAZIO: Marzia Mosconi, senza la quale questa storia non sarebbe mai stata scritta. Un grazie anche a Luciano Ravagnani, che ha messo gentilmente a disposizione la sua enciclopedica conoscenza del rugby.

 

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