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Alla Rugby Academy Ihorombe, in Madagascar, da cinque anni, oltre 500 ragazzi giocano a rugby in un progetto di “rugbificazione” rurale inventato da un ex giocatore dello Stade Toulousain e sostenuto da un’azienda italiana, la Tozzi Green di Ravenna.

Articolo pubblicato su Allrugby di giugno 2019, numero 137

di Valerio Vecchiarelli

 

Il fascino del Sei Nazioni, gli 80 mila stipati dentro allo Stade de France per non perdere l’appuntamento con la tradizione, giornata di apertura e di sogni transalpini che tramontano all’alba, Francia v Galles, La Terra dei Nostri Padri e la Marsigliese, i bardi in rosso e i galli tricolori. Poi il calcio d’inizio.

L’onore di dare il via al Torneo più antico (e bello) che ci sia è stato affidato al piede di Pela, 15 anni, rugbista delle “Olives”, la squadra del villaggio di Satrokala, regione Ihorombe, nel Madagascar centro-meridionale. Quella pedata è l’approdo più bello di una delle tante storie che solo il rugby sa scrivere, nata dal coraggio di Pierre Gony e da un rincorrersi di circostanze che seguono gli stessi rimbalzi sghembi di un pallone ovale.

Pierre è francese di Tolosa, da ragazzo è un po’ irrequieto e alla fine sceglie il rugby perché ha capito che il rugby può essere la sua strada. Gioca con lo Stade Toulosain e intanto pensa a come fare per restituire agli altri un po’ della ricchezza interiore che il rugby gli ha donato. Pierre è cittadino del mondo, i suoi genitori appena andati in pensione hanno mollato tutto e sono partiti alla scoperta del pianeta. In bicicletta. La curiosità è una virtù di famiglia e così lui va in Africa e fonda “Terres en Mêlées”, una Ong che progetta una vita migliore per chi non è stato baciato dalla fortuna, creando dal nulla squadre di rugby.

L’associazione fa progetti, pianta le tende in paesi difficili, fa giocare migliaia di ragazzini, trasmette loro i valori più belli del gioco, tira su strutture là dove strutture non esistono. E insegue i rimbalzi strani del pallone, fino al Madagascar, dove il caso compie il suo percorso più ardito.

A Satrokala, villaggio dove ha il suo insediamento produttivo la Tozzi Green, un’azienda di Ravenna che ha nelle energie rinnovabili il suo core business e che si espande portando acqua nei villaggi, tirando su pale eoliche, trasformando la forza del sole in energia per tutti, perché laggiù la corrente è ancora un bene di lusso. Tutto con i più ferrei principi di sostenibilità, perché Tozzi Green vorrebbe lasciare a chi verrà un pianeta meno offeso dall’ingordigia dell’uomo. In Madagascar gestisce un’azienda agraria di 7.000 ettari senza usare pesticidi, coltiva mais, soia, cerali e insegna ai locali la tecnica per estrarre oli essenziali dalle piante. Ettari e ettari di geranio, un laboratorio per l’estrazione di quelle gocce di tesoro vegetale e un’azienda francese che produce profumi di qualità che ha intuito l’importanza di quegli estratti. Fin qui è normale storia di imprenditori illuminati, di genio e volontà molto italiani. Ma il rimbalzo dell’ovale diventa vincente quando a dirigere Tozzi Green in Madagascar va Alessandro Berti, un manager romano di 39 anni, un Erasmus a Parigi, la laurea in economia, la passione del lavoro a servizio della causa. Un particolare si eleva sopra alle mille righe del suo curriculum professionale: ha giocato a rugby, nella Lazio-Primavera degli anni ’90, nel fango di Rieti, Colleferro, Segni, Frascati, ha amato la fatica della mischia, ha tirato placcaggi e raccolto amici. E in un albergo di Antananarivo, la capitale malgascia, incontra Pierre Gony. Che gli parla del suo progetto di far giocare a rugby i bambini del villaggio ed è come sfondare una porta aperta. Dopo pochi giorni sul polveroso campo da calcio del centro aziendale di Tozzi Green a Satrokala ci sono oltre 400 ragazzi guidati da Pierre Gony e Alessandro Berti li guarda come se stesse vivendo in un sogno, si emoziona, prova ad andare con la mente oltre quel momento di felicità; chiede alla famiglia Tozzi, titolare dell’azienda, di poter avviare in casa loro il progetto di un’accademia di rugby malgascia. Un’emozione non si nega e così nasce la Rugby Academy Ihorombe, un sogno che dura oramai da 5 anni, oltre 500 ragazzi che giocano a rugby e che per farlo sono obbligati ad andare a scuola, altrimenti il campo è sbarrato ai fannulloni. Maglia nera e verde (le “Olives”, appunto), una divisa per tutti, un torneo interno, la partecipazione a un campionato regionale, un pulmino Mercedes dell’azienda diventato il traghetto privato della squadra, le trasferte da sogno di chi mai ha visto il mare pur essendo nato su un’isola, il campo da color rosso steppa che d’incanto diventa verde prato, perché gli agronomi della Tozzi Green hanno studiato dove andare a prendere fertili zolle per regalare al rugby una sua casa dignitosa. Quel campo diventa il centro di riferimento del villaggio, punto di aggregazione e richiamo per un’intera regione.

Il Madagascar è complesso dal punto di vista sociale, ci vivono 18 gruppi etnici che male si integrano e spesso le rivalità sono anche un problema difficile da gestire a livello politico. La capitale, Antananarivo, è abitata soprattutto dai Merina, il fiero popolo degli altipiani, gente piccola di origine indonesiana. Sono loro che giocano a rugby nei 285 club cittadini e alimentano di talento la Nazionale. Motivo per cui il rugby è considerato, da tutti gli altri, antipatico sport di élite. Da quando nel Sud è nata la Rugby Academy Ihorombe e i ragazzi di Satrokala hanno iniziato a spostarsi per giocare, si assiste a un piccolo miracolo sociale: a rugby giocano anche i «costieri», più forti, più adatti alla battaglia della mischia, e così le tante rivalità tribali in campo diventano una forza comune. Nell’Ihorombe l’etnia dominante è quella dei Bara, popolo di allevatori, orgogliosi e violenti, gente che due volte al mese al grande mercato agricolo della zona ancora va a vendere le minorenni.

Il rugby e i suoi valori li hanno incuriositi, hanno visto giocare le ragazze e si sono piegati alla forza dirompente della loro pazza voglia di stare in campo, hanno accettato di mandarle a scuola pur di farle giocare, hanno iniziato a chiamare “Papa Be” (Grande papà) Alessandro Berti, riconoscendogli il merito di aver portato sulla polvere rossa di Satrokala quello strano pallone.

E così Pela è finita dentro a un sogno, è la capitana della sua squadra, la più tenace, la più coraggiosa, un esempio per le altre, è conosciuta da tutti come la ragazza che gioca sorridendo. Adesso che ha finito la scuola si è dovuta spostare per andare al liceo e Tozzi Green ha inventato una borsa di studio per chi, pur di giocare, decide di continuare a studiare. E così Pela è volata a Parigi per dare il calcio di inizio di Francia v Galles, ha potuto vedere il mondo e riportare indietro con sé un’esperienza indimenticabile: “Ma io voglio rimanere qui, devo lavorare qui, perché ho l’obbligo di fare qualcosa per il mio Paese”.

Il progetto adesso va avanti, si pensa alla Club House, alla Foresteria, a una squadra senior dell’Ihorombe, a un esempio di sport, integrazione e solidarietà da poter portare in tutti i dimenticati villaggi dell’Ihorombe, in una sorta di rugbificazione rurale, così come Tozzi Green fa per missione aziendale con l’elettrificazione. C’è un posto molto tricolore (italiano e francese) in Madagascar dove il rugby e la passione degli uomini stanno costruendo un piccolo sogno chiamato Pela. Con vicino i nomi dei suoi 500 giovani fratelli che corrono felici su un campo da rugby.

 

 

 

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