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Non mi voglio appuntare alcuna medaglia sul petto, né iscrivermi al partito dell’ “io l’avevo detto”. Però la nomina di Jaques Brunel a commissario tecnico della Francia (al posto del dimissionato Guy Noves, mica il primo che passa per la strada!) rende secondo me giustizia a un uomo e a un tecnico il valore e lo spessore professionale del quale, qui nella Repubblica delle banane, più di uno si era sentito in dovere di mettere in discussione, quando di non negare apertamente. Il giorno in cui venne ufficializzata la notizia della sua chiamata sulla panchina azzurra scrissi che si trattava di un uomo grazie al lavoro di elaborazione tattica del quale tutto (tutto!) il rugby mondiale aveva fatto importanti e decisivi passi in avanti. Ero stato infatti fra i primi in Italia (allora tenevo corsi allenatori per conto della Fir e avevo accesso a molto materiale didattico informativo del Centro Studi) ad avere fra le mani il lavoro di Jaques Brunel sulla “circolazione utile dei giocatori e loro distribuzione in situazione di lancio del gioco e momenti successivi” che rappresentava, per quegli anni, l’equivalente del motore a scoppio alimentato ad acqua piovana.  Per andare sul concreto e giusto per richiamare un termine assolutamente innovativo, il lavoro era quello in cui si teorizzava l’impiego di uno o due giocatori (chiamati “liberos”) nel canale più esterno e in quello della fonte, dopo una palla conquistata i rimessa laterale. Oggi, 2018, tutto quello che accade su un campo di gioco in termini di distribuzione e redistribuzione dei giocatori sia in fase offensiva sia in quella difensiva (meglio: di attacco al possesso avversario) si muove lungo le linee guida elaborate da Brunel e poggia sui principi che furono alla base della sua dissertazione scientifica poi sperimentata con successo sul campo.

Acquisire un tale capitale di conoscenza fu a mio giudizio, per il rugby italiano, un enorme passo avanti sulla strada della ricerca di un gioco efficace e, in prospettiva, vincente. Di questo fui e rimasi sempre convinto, anche quando i risultati del campo e la qualità del gioco espresso dai “nostri ragazzi” erano tutto tranne che contrassegnati dai crismi della consistenza tecnica e dell’efficacia tattica. E questo lo scrissi e lo dissi fino al giorno della sua partenza dall’Italia. Praticamente inascoltato e spesso spernacchiato (amichevolmente, si intende!). Una sola volta accettai di misurarmi sul piano delle previsioni, e lo feci con un tecnico che stimavo e stimo tutt’ora, un amico, secondo il quale “adesso che torna a casa gli conviene comprarsi un cane da compagnia, stabilirsi in una città ricca di parchi e magari con qualche bel cantiere edile da andare a visitare…” furono le sue parole. Mi hanno insegnato che le uniche scommesse da accettare e le uniche guerre da combattere o da dichiarare sono quelle che sei sicuro di vincere. Perciò limitai la posta a un caffè pagato per tutta la vita in un certo bar della città dove sono nato che, purtroppo, visito una mezza dozzina di volte l’anno, non di più. “Dagli un anno di tempo e te lo ritrovi minimo in Top 14” rilanciai. E quando arrivò la notizia del suo incarico a Bordeaux… Sul fatto che potesse ambire ai Bleus confesso che non ho mai avvertito particolari sensazioni positive. Troppo ingombrante (e bravo e stimato e riverito) Guy Noves in patria, quindi impensabile un suo esonero a pochi mesi dal Sei Nazioni. E invece…

Qualche giorno fa si è rifatto vivo quello che mi paga i caffè quando passo porta Santi Quaranta. Aveva in serbo una nuova sfida: “Io dico che prende il Cucchiaio (sottointeso: Brunel alla guida della Francia al prossimo Sei Nazioni)”. Preso alla sprovvista ho rilanciato: “Io dico che perde solo con l’Inghilterra e con l’Irlanda”. Stavolta la posta è seria: folpi alle Antiche Fiere di San Luca, ottobre 2018. Senza limiti di quantità. “Tanto a Ca’ Foncello, grazie alla tangenziale, in cinque  minuti ci sei” ho rassicurato la mia controparte. Per i foresti che leggono questo sito: si parla di Treviso.