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Due sconfitte consecutive sono troppe per la Nuova Zelanda, che tanto tiene ai propri pennuti, alle proprie pecore, al Signore degli Anelli e, ovviamente, alla palla ovale. Il religioso vincolo rugbystico non va infranto e facilmente si punta il dito quando arriva qualche sconfitta di troppo. In Aotearoa c’è tanta umiltà, non si premiano le prime donne, eppure difficilmente digeriscono vedere i propri paladini perdere.

Pochi giorni fa il coach Ian Foster è stato ospite del programma The Breakdown, in onda in Nuova Zelanda ogni martedì, in cui è stato oggetto di pesanti critiche dopo un novembre deludente che ha visto vittorie di routine contro Stati Uniti e Italia, una "buona" vittoria contro il Galles e le sconfitte contro Francia e Irlanda. Individuando le partenze lente nelle partite come motivo chiave, Foster ha anche ricordato ai fan che la sua squadra ha vissuto un anno piuttosto speciale in termini di carico di lavoro, oltre a stressanti trasferte blindate causa COVID-19.

Ça va sans dire. Aldilà delle giustificazioni del buon Foster, che reputo un ottimo coach, i motivi chiave sono palesi e semplici: il rugby si sta globalizzando, le squadre della Top8 del Ranking sono altamente competitive e i cari All Blacks devono accettarlo. Quando c’è davanti Irlanda, Inghilterra e Francia il risultato non è mai certo. 

Ian Foster rischia, dunque, questo esonero? Nì. Perché i risultati sono arrivati: la vittoria del Rugby Championship e della Bledisloe Cup. Non roba da poco. Dodici vittorie su Quindici match che il nuovo coach ha dovuto preparare. Potrà “Razor” (l’esuberante Scott Robertson, pretendente numero 1 alla panchina All Blacks) fare di meglio in caso di nomina a ct? Chi può dirlo! Aldilà dei numeri bisogna chiedersi se è lecito un esonero e se tre incontri persi su quindici siano sufficienti per silurare un allenatore.

Per capirlo, torniamo indietro nel tempo.

1998.

Annata amara per gli All Blacks. L’allora commissario tecnico John Hart deve affrontare il Tri Nations alle porte con una squadra in “fase di transizione”: c’erano gli esperti Michael Jones, Justin Marshall, Jonah Lomu, Andrew Mehrtens, Walter Little ma anche new entry ancora acerbi come Carlos Spencer, Isitolo Maka, Mark Hammett. Cosa importante: la squadra non aveva più un leader come Sean Fitzpatrick (ritiratosi nel 1997). Ebbene, quel Tri Nations finirà nel peggiore dei modi per i neozelandesi. Quattro sconfitte su quattro incontri giocati. Due punti (di bonus) in classifica. Quel torneo lo vinceranno gli Springboks, all’epoca guidati da Nick Mallett.

Fuori portata anche la Bledisloe Cup: l’Australia si aggiudica i due incontri del Tri Nations, decisivi per aggiudicarsi il trofeo (vittorie per 24-16 e 23-27). Poi il terzo test, il 29 agosto a Sydney, con i Wallabies che trionfano 19 a 14. Quinta sconfitta consecutiva per la Nuova Zelanda!

Povero John Hart, per lui era pronta una crocifissione. Così non fu, il tecnico restò sulla panchina All Blacks e guiderà la nazionale alla RWC 1999, passando ancora una volta per il Tri Nations (stavolta vinto). Certo i motivi del sostegno erano palpabili: Hart aveva collezionato 24 vittorie nei test, aveva in tasta i Tri Nations 1996 e 1997. Foster non è stato da meno in questi mesi.

Insomma, le critiche sono sulla bocca di tutti, ma cari neozelandesi non dimenticate il passato...

 

 

 

 

Foto stuff.co.nz

 

 

 

 

 

 

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