Rugby e sacrificio: Londra, il rugbista che ha messo la propria vita al servizio degli altri

Una coltellata alla fine l'ha presa, in faccia. Ma di scappare o di limitare i danni smettendo di lottare non gli è mai passato per la testa. Tutta Londra parla del poliziotto rugbista e del comportamento tenuto una volta che si è trovato faccia a faccia con gli assassini del London Bridge. Intervenuto per primo sul luogo dove i jihadisti a bordo di un furgone avevano appena investito e straziato i corpi di alcuni pedoni, ha ingaggiato con essi, armato dello sfollagente di ordinanza e di nient'altro, una lotta corpo a corpo senza esclusione di colpi, finendo sopraffatto e ferito, ma picchiando e resistendo finché le gambe l'hanno retto e sostenuto. Il suo nome, è in Polizia da due anni , è stato tenuto segreto dalle autorità. Di lui si sa che gioca a rugby in una formazione amatoriale e che, al momento, è ricoverato in un ospedale della città e che le sue condizioni risultano stabili.
Furono rugbisti californiani, l'11 settembre delle Twin Towers newyorkesi, a causare lo schianto in una zona disabitata dell'aereo di linea su cui erano a bordo e che i terroristi arabi avevano indirizzato verso la Casa bianca. A Londra un altro rugbista non ha esitato a mettere la propria vita al servizio del bene comune, in questo caso declinato a salvaguardia dell'incolumità di tante persone innocenti e incolpevoli. Rugbista era anche uno dei due poliziotti italiani che alle porte di Milano intercettò e abbatté l'assassino del mercato di Natale a Berlino.
Concludere che dove serve coraggio e dedizione è facile incrociare gente che con la bislunga ha o ha avuto un rapporto molto profondo e sincero è (sicuramente) esagerato e (probabilmente) fuori luogo. Ma occorre ammettere che è tutta, e solo, una questione di coraggio. Quella "roba" che, se non ce l'hai, non te la puoi inventare, né chiederla in prestito a qualcuno. Dire che chi gioca a rugby è, o è diventato giocandolo, coraggioso appartiene alle esagerazioni "ideologiche" cui volentieri ci sottraiamo. Ma un grande abbraccio all'anonimo ed eroico "compagno di squadra" in divisa che a Londra, contro tre assassini armati, ha trovato del tutto normale ingaggiare una furibonda colluttazione nel tentativo di limitare i danni nei confronti di altri innocenti, avremmo davvero tanta voglia di farlo. "Great job, mate!". E poi una birra, forse due, magari tre. Insieme.
Foto Elena Barbini