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Ha ragione Oliviero Beha, quando sostiene che non abbiamo ancora risolto in maniera credibile il rapporto fra chiarezza e opacità. Ma un conto è essere e/o apparire indefiniti nella manifestazione/esposizione del nostro pensiero altro è confermarsi ogni giorno indatti a dire qualcosa di sensato. Quando l’opacità assume la gradazione del nero della pece. Che non è proprio l’ignoranza assoluta, quasi.

L’altro giorno il figlio più piccolo di certi nostri amici, a cena da noi, si è stupito e quasi offeso quando, a una domanda del conduttore che aveva per tema “il pilone”, la concorrente non ha saputo collegare il termine al gioco del rugby. “Ma come si fa a non sapere cosa è un pilone” ha urlato a un certo punto il simpatico ragazzino, da poco entrato nell’under 14 del club del quartiere e perciò discretamente pratico di ruoli.

Dai tempi di Mike Bongiorno ne è passata di acqua sotto i ponti! Morto lui, morto il quiz, finito il genere. Perché sono cambiati i gusti del pubblico? No. Per mancanza di materia prima. Di concorrenti preparati.

La città ligure famosa in tutto il mondo per la produzione dei fiori? Genova. Il versante italiano del Monte Bianco? In Sardegna. Invece di perdere tempo e soldi con i questionari Invalsi, basterebbe raccogliere il repertorio mensile delle risposte fornite ai giochi a quiz più seguiti delle nostre televisioni per avere “il polso” del livello del nostro sistema nazionale di istruzione di base. E con esso del grado di conoscenze minime dei nostri vicini di casa. Laureati e laureandi compresi.

Quelli, tanto per intenderci, formati da una scuola (primaria e secondaria di I grado. Leggasi: elementari e medie) in cui il rapporto docenti/alunni, oggi, è inferiore a 10. Esclusi i prof di religione. Ma che prima (Gelmini – Tremonti) era 12, comunque sopra, in alcuni casi di molto, alla media europea.

 In tempi di spending revue: una proposta. Concentrare gli 8 anni di scuola dell’obbligo in uno. Meglio: in un corso multidisciplinare di 6 mesi. Il prodotto non cambierebbe (di molto) ma il risparmio per le casse dello Stato sarebbe notevole. Forse decisivo. E un’altra, immediatamente praticabile e a costo zero: far sottoscrivere un impegno scritto a tutti i concorrenti dei pre serali che li obblighi a declinare in pubblico: nome della scuola che ha rilasciato loro la licenza media, con annesse le generalità del docente della materia su cui si è commesso lo sfondone. Del tipo: “Hitler visitò Roma nel 1964” (sentita con le  mie orecchie, l’inverno scorso, su Raiuno. “L’esame di Stato l’ho fatto alla scuola media San Pellico (cos’altro poteva significare quel punto dopo la S maiuscola nella targa sul muro all’entrata?) di Venezia (o Bari, Enna, Savona…), la mia prof di storia si chiamava Caterina Sapienza ma noi la chiamavamo Ketty. Simpaticissima, anche se severa. E molto esigente”. 

E a proposito del nostro gioco preferito: una collega di Rai 3 un paio di anni fa, nell’annunciare, nel corso del Tg regionale del Veneto, la partita di campionato in programma al Battaglini, chiamò la squadra rossoblu: “Femi Catanzaro Rugby”, per via del CZ. Almeno sulle sigle delle province italiane era preparata. Rai, di tutto, di più.