Japan Rugby League: corporazioni, stipendi milionari e nulla più
Il campionato giapponese è in mano alle multinazionali, tanti sponsor e spettatori, ma i risultati sono fermi al 2019

L'ultimo atto della Japan Rugby League One si è tenuto domenica mattina allo Japan National Stadium di Tokyo. 50 mila spettatori per una finale molto sentita, chiusa con la vittoria dei Brave Lupus. La squadra del gruppo Toshiba, quello delle tv ed elettrodomestici, dall'altro lato gli Spears della Kubota, leader mondiale di macchine agricole e trattori.
Il rugby nipponico è nelle loro mani. Le megacorporazioni dell'industria tech, motori, automotive e quant altro. Tra Mitsubishi, Yamaha, Panasonic, Canon, NTT e Toyota si può dire che la palla ovale, nella terra del Sol Levante, è ormai inaffiata di investimenti milionari.
Stipendi da capogiro, lì dove i big player fanno cassa
Non saranno di certo gli 1.2 milioni di dollari l'anno che la Suntory, multinazionale delle bevande alcoliche, deve elargire al buon Cheslin Kolbe (il più pagato del campionato nipponico) ad impoverire l'azienda. E come il campione del mondo sudafricano ce ne sono tanti altri di giocatori a percepire stipendi simili.
Faf de Klerk, ai Canon Eagles di Yokohama, incassa 900 mila dollari l'anno da contratto. Mentre Richie Mo'unga, campione con i Brave Lupus, sceso in campo con il braccio ingessato, intasca un bel milione di dollari l'anno a Tokyo.
Le piattaforme non stanno a guardare, la finale va in pay tv
Abbiamo detto che al National Stadium erano in 50 mila, ma se si considerano gli ascolti televisivi è palese che il seguito è stato più che eloquente. Non si hanno dati sullo share della finale di domenica, ma sappiamo per certo che l'evento è finito in pay tv sulle principali piattaforme.
J Sports e Nippon TV, le due principali emittenti satellitari del paese hanno trasmesso l'evento a pagamento, con loro anche Hulu Japan e Amazon Prime.
Nazionale calante e vittorie di prestigio che non arrivano
A tutto questo fa da contraltare una nazionale che non ingrana. Le performance migliori sono ferme alla Rugby World Cup 2019, la migliore per i Sakura e probabilmente il miglior Giappone della storia, capace di eliminare l'Irlanda (19-12) e la Scozia (28-21) e poi un quarto di finale molto onorevole con gli Springboks, che diventeranno campioni.
Poi il tracollo. Negli ultimi anni la nazionale, prima guidata da Jamie Joseph e ora da Eddie Jones, brancola nel buio. Contro le Tier 1 arrivano le batoste e c'è spazio per alcuni successi con le squadre “pari grado”.
Alle Summer Series 2024 due mazzate, prima con l'Inghilterra a Tokyo (17-52) poi con l'Italia a Sapporo (14-42). In mezzo la sconfitta di misura con la Georgia (23-25).
Alle Autumn Nations Series dello scorso anno capitolo che si ripropone: a Yokohama arriva un pesante 19-64 con gli All Blacks, allo Stade de France finisce 52-12 per i Bleus (con Galthié che mette in campo molte seconde scelte) e a Twickenham finisce 59 a 14. Una sola vittoria, con l'Uruguay per 36 a 20.
L'unico contentino quella Pacific Nations Cup, che lo scorso anno arrise alle Fiji. Nella finale giocata ad Osaka gli isolani del Pacifico si imposero 41 a 17.
Sviluppo che si è fermato?
Le difficoltà di un vivaio vincente nel rugby nipponico sembrano palesi, basti vedere ai risvolti della Nazionale Under 20, che da due anni manca l'appuntamento al Mondiale di categoria, lì dove l'Italia è ormai presenza fissa.
E anche in termini di fatturato i risultati sportivi internazionali non giustificano gli introiti. Nel 2024 la Japan Rugby Union ha fatturato oltre 56 milioni di euro, un risultato ben distante dai circa 41 milioni registrati dalla FIR.
Davvero tanta la pochezza della palla ovale nipponica, che sembra aver perso tanto negli ultimi anni del cipiglio guadagnato durante il Mondiale. Nonostante gli investimenti risultino superiori a quelli della Rugby Football Union e alle Federazioni dell'Emisfero Sud (Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda).