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Reduce da un decimo posto deludente alla tappa di Exeter del Grand Prix 7s Rugby Europe, l’Italia a sette va in letargo fino all’ultima settimana di agosto, quando si ritroverà per preparare l’ultima tappa della competizione che vale il pass per l’Hong Kong Sevens 2019.

A Lodz, in Polonia, l’8 e il 9 settembre gli Azzurri del Rugby Seven proveranno a ripetere l’ottima prestazione offerta a metà maggio, centrando il terzo posto dietro Irlanda e Germania nella tappa di Mosca. L’obiettivo è recuperare posizioni nella classifica continentale, dove sono scivolati in settima posizione alle spalle di Irlanda, Inghilterra, Russia, Germania, Francia e Portogallo, con le ultime due in vantaggio sull’Italia di appena cinque punti.

Dello stato dell’arte del movimento Seven nel Belpaese abbiamo parlato con Andy Vilk, head coach dell’Italia, che da cinque anni insegue il difficile obiettivo di portare gli Azzurri a competere con le migliori nazionali d’Europa, tra cui non mancano autorevoli rappresentanti di Paesi rugbisticamente meno evoluti del nostro (dalla Germania alla Russia, passando per Portogallo e Spagna).

Come valuta gli ultimi risultati della Nazionale Seven?

“Siamo stati altalenanti, dopo un ottimo inizio”, riconosce Vilk, “A Mosca siamo stati molto bravi ad adattarci a condizioni climatiche particolari, insolite per un torneo sevens. Pioveva molto e di conseguenza c’è stata molta ricerca del calcio tattico, il gioco è stato meno veloce del solito. Probabilmente ci siamo adattati a questa situazione meglio di altre squadre e il terzo posto è stato un premio meritato. A Exeter invece il risultato finale è stato frustrante. Dopo Mosca eravamo messi bene in vista delle qualificazioni per Hong Kong. La tappa di Marcoussis, in Francia, dove siamo arrivati settimi, non ci aveva più di tanto scoraggiato ma purtroppo la nostra prestazione in Inghilterra non è stata all’altezza. Ora dovremo assolutamente rifarci a Lodz”

Allargando la visuale, rispetto agli ultimi anni come va?

“I segnali positivi non mancano. Nel 2017 su quattro tornei abbiamo giocato una sola volta per la coppa, negli altri non abbiamo mai passato il primo turno. Quest’anno invece ci siamo qualificati ai quarti già in due tappe su tre. Precisato questo, sia a Marcoussis sia ad Exeter potevamo fare meglio. Dispiace un po’ essere andati in calando. Ora i ragazzi potranno riposare un po’ prima di iniziare la preparazione con i club, spero di ritrovarli carichi a fine agosto per preparare l’ultima tappa in Polonia”.

Com’è quest’Italia Sevens?

“I ragazzi hanno un buon potenziale. Dopo Lisbona 2015 ho avviato un nuovo corso, confermando solo cinque del vecchio gruppo azzurro. Tanti giovani hanno avuto la loro possibilità e in questi tre anni si è creata sempre più amalgama. Oggi è un gruppo che si conosce, che si trova con facilità in campo e sta bene anche fuori. Sono una vera squadra. Quel che ci serve è maggiore consistenza per essere veramente competitivi. E la puoi maturare solo giocando molto, dedicandoti maggiormente a questa specialità. A Mosca abbiamo giocato bene, in Francia abbiamo tenuto testa ai padroni di casa. Rispetto a qualche anno fa siamo già competitivi ma, ripeto, ci serve più consistenza. Quando termina l’attività estiva in Italia stiamo fermi per sei mesi. In questo periodo i passi in avanti che abbiamo fatto da gennaio in poi si disperdono, mentre le altre nazionali continuano a migliorar dedicandosi al Seven tutto l’anno, allenandosi al coperto”.

E’ per questo che squadre con meno tradizione nel Rugby a XV riescono ad emergere nel Seven?

“Non c’è dubbio. Devo dire che è bellissimo veder crescere il rugby in Paesi di minor tradizione e molto interessante confrontarsi con queste realtà emergenti. Dimostra che il Seven è un veicolo fortissimo per la diffusione di questo sport, perché dà la possibilità a buoni atleti di esprimersi ad alto livello dopo alcuni anni di lavoro intenso. Un esempio su tutti: la Germania. Negli ultimi quattro anni hanno allenato i ragazzi a tempo pieno e ora i risultati arrivano. Secondi a Mosca, secondi a Marcoussis, terzi in classifica generale”.

Cosa serve davvero per far crescere il Seven italiano?

“Quello che vorrei per il gruppo azzurro sarebbe la possibilità di lavorare in modo consistente e per tutto l’anno, come le squadre che poi affrontiamo d’estate. Senza nulla togliere alla priorità degli impegni dei giocatori con le squadre di Eccellenza, sono certo che ci sia spazio per una programmazione più estesa. E forse sarebbe il caso di dar vita a dei campionati italiani Seven, per vedere all’opera i giocatori prima di convocarli. Non sempre osservando partite a 15 si capisce chi davvero sa sfruttare il campo aperto. Al momento, tra gennaio e febbraio possiamo fare qualche test, su indicazione degli allenatori. Ma con un campionato vero e proprio, anche di breve durata, sarebbe più semplice. Nel frattempo ho molto apprezzato il debutto di tornei di buon livello in Italia, oltre allo storico Roma Sevens, come il Rovigo Rugby Festival e il SeVenice organizzato dal San Donà”

Sinceramente, l’Italia ha qualche possibilità di qualificarsi alle Olimpiadi di Tokio 2020?

“Olimpiadi? Partiamo da una considerazione. Alle World Series ci sono 15 posti. Alle Olimpiadi solo 12, anzi 11 considerando il Paese ospitante. Andare alle Olimpiadi è conseguenza della partecipazione alle World Series. Noi prima di tutto dobbiamo puntare a quello. A Rio 2016 tutte le squadre arrivavano dalle World Series, tranne la Spagna che nel torneo di qualificazione tra le ripescate per l’ultimo posto a disposizione aveva battuto a sorpresa le Samoa. Ma gli spagnoli venivano da un lavoro di 10 anni e per un paio di stagioni avevano disputato le World Series. Il loro è un esempio che ci dà comunque speranza. Non siamo esclusi a priori. Ci impegneremo per giocarci fino in fondo le nostre carte”