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Abbiamo intervistato Michele Campagnaro, probabilmente il miglior giocatore italiano del passato Sei Nazioni, ritornato prepotentemente sulla ribalta internazionale dopo il suo passaggio agli Exeter Chiefs attualmente secondi in classifica in Aviva Premiership.

Michele sei stato inserito in diversi Best XV del 6 Nazioni, BBC da Jeremy Guscott, Planet Rugby, in quello ufficiale di RBS 6 Nations oltre che da Rugbymeet. Come giudichi il tuo torneo e pensi di esserti meritato la nomination?

“Ovviamente non posso essere che felice di questo, anche se dall’altro lato un po’ mi dispiace perché finiamo il torneo con il cucchiaio di legno e soprattutto dopo esser partiti bene nelle prime due partite, se ragioniamo anche rispetto al mondiale, abbiamo finito con un disastro.

Dal punto di vista personale comunque mi ritengo un pochino soddisfatto perchè ho cercato di fare del mio meglio e un po’ mi pare di averlo fatto ma dall’altro non siamo arrivati a nessun risultato. Quindi non sono troppo contento perché come squadra non abbiamo fatto bene, un po’ per tutto, per come è andato il torneo, per quello che si dice di noi adesso, perché non è bello prendere così tanti punti.

Purtroppo bisogna fare il conto con tante cose e non si può dare la colpa a solo chi ha giocato. Cioè non solo i 15 o i 23 che giocano sono responsabili”.

E’ un problema più ampio, che coinvolge giocatori, staff e movimento?

“Non voglio assolutamente fare polemiche, non penso siano i giocatori gli unici responsabili, loro sono li devono fare quello che possono e devono cercare di farlo al loro meglio, e nel caso questo venga a mancare chiaramente è solo colpa dei giocatori. Però non puoi giudicare un intero Sei Nazioni, i risultati della nazionale solo dai giocatori, nel senso che se tutti questi risultati non arrivano, se ci sono così tanti infortuni, se non siamo competitivi a livello fisico e a livello tecnico, non è che i giocatori (ovvio loro sono quelli che ci mettono la faccia) sono gli unici responsabili”.

Alla fine i giocatori ci mettono la faccia e sono quelli che si assumono la responsabilità sul campo ma lì ci sono arrivati e se ci sono delle mancanze parte delle  colpe sono dei giocatori e parte di chi li ha portati lì.

“In un sistema come quello del rugby in Italia ognuno deve prendersi le proprie responsabilità, se il rugby in Italia non è professionistico al 100% non possiamo poi pretendere di essere come gli altri. Non siamo come gli altri innanzitutto perché non siamo professionisti. Nessun club in Eccellenza si può definire professionistico, quelli che più si avvicinano sono le due franchigie ma anche lì ci stiamo arrivando pian piano, cioè non siamo riconosciuti come professionisti anche se allo stato di fatto lo siamo perché facciamo solo questo. Questo è il punto focale dal quale partono tutte le altre mancanze”.

Riguardo al trasferimento in Inghilterra, dimmi un paio di cose belle, che ti sono piaciute particolarmente e qualcosa che ti ha fatto soffrire, che ti ha messo alla prova.

“Di cose belle ne ho vissute molte, dall’esperienza rugbystica, all’esperienza di vita, al feedback che sto avendo dopo i primi mesi con i giocatori e con lo staff, il rugby inglese…ci sono tante cose positive che sto vivendo adesso”

Il surf?

“Anche (risata generale), ho la possibilità di fare surf in posti bellissimi. Qui mi trovo molto bene. Non posso dire che ci sia niente di negativo, ovviamente ci sono difficoltà. I primi mesi sono stati quelli più duri, insomma non sei nessuno, devi dimostrare un po’ tutto, devi entrare in un sistema di gioco, devi imparare a padroneggiare  la lingua. Tanti fattori che ti mettono alla prova e ti fanno dire, cavolo è abbastanza dura, però queste tutte queste cose alla lunga ti facciano crescere.

Sono sempre stimoli in più ed è davanti alle difficoltà che ci è data l’opportunità di crescere!”.

Come ti sei trovato a livello tecnico?

“Dai bene, ovviamente lavoriamo molto su skills e tecnica, tutti facciamo le stesse cose ma se uno deve migliorare in alcuni particolari ha la possibilità di esser seguito e di farlo”.

Sino ad ora come valuti la tua esperienza, ti è pesato non giocare all’inizio?

“Non ti puoi aspettare di arrivare e giocare subito, ovviamente anche non giocare dopo settimane o mesi diventa frustrante. Qui il sistema è un po’ diverso, abbiamo la seconda squadra che  gioca nel campionato delle seconde e all’inizio per integrarmi ho giocato un paio di partite con quella squadra.

Hai sempre la possibilità di migliorarti e di farti vedere in allenamento, pian piano mi sono inserito e anche se non ho fatto ancora niente di particolare ho mostrato le mie potenzialità, anche al Sei Nazioni ho provato a fare quello che ho “imparato” qui ad Exeter. Ovviamente mi hanno tenuto d’occhio e spero di essermi guadagnato la possibilità di giocare in questo finale di campionato”.

La competizione fra compagni di reparto è forte? Nel tuo ruolo ci sono giocatori forti: Henry Slade, l’anno prossimo arriva Ollie Devoto..

“La competizione è alta ma anche molto sana. Io e Henry abbiamo legato molto, lui è anche uno dei miei migliori amici nella squadra, ma qui funziona così:  il migliore gioca e non hai tanti alibi, se non giochi sai perché e quindi devi solo cercare di migliorarti per far vedere, quando hai la tua opportunità, di esserti meritato il posto”.

Questo tipo di competizione e l’esperienza inglese ti ha aiutato a fare bene nel Sei Nazioni?

“Ho guadagnato maggior convinzione nei miei mezzi e questo ha aiutato, poi la prestazione è sempre un mix di preparazione fisica e anche mentale. L’anno scorso ero molto più sotto pressione, da un punto di vista fisico non ero al top perché mi ero rotto il ginocchio e la riabilitazione è stata lunga e frustrante, aggiungici il fatto che anche il mondiale non era andato benissimo.

Quando invece sei in un ambiente sereno, propositivo e stai bene fisicamente riesci a giocare e a esprimerti molto meglio. Questo mix di cose mi ha aiutato molto”.

Che obiettivi hai per il futuro?

“La mia sfida è quella di continuare a migliorarmi qui in Inghilterra e con il prossimo anno cercare di rimanere inserito in questo ambiente. La mia sfida sarà continuare a lavorare per conquistare il nuovo contratto e proseguire la mia carriera in Inghilterra.

Ci sono molto “premi” in palio: la Champions contro gli  Wasps e la Premiership, ad esempio se avessimo vinto con i Saracens a Londra avremmo avuto un piede nei playoff. Ma in linea di massima se vogliamo raggiungere l’obiettivo dovremo continuare a dare il massimo perché quasi tutte le partite sono molto impegnative, tutte contro squadre forti e, tra l’altro, si sente molto di più che in Pro12 l’impatto del pubblico”.

Sei felice della tua scelta?

“Assolutamente si”

Un commento sul nuovo staff tecnico della nazionale?

“Sinceramente non li conosco personalmente, ma parlando con i compagni di squadra di Exeter che sono stati allenati da Mike Catt ho avuto solo commenti molto positivi su di lui e il lavoro che Conor O’Shea ha portato avanti con gli Harlequins è sotto gli occhi di tutti, è un club che ha uno stile di gioco molto bello.

Potrebbe essere quello che ci vuole per il rugby italiano"

 

Foto Elena Barbini

 

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