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Appena fuori dallo stadio, Mirko mi fa: “Sono proprio curioso di vedere cosa scriverai”. La domanda è più che appropriata. Cosa può scrivere un mental coach per commentare in modo utile una batosta come quella che ha subito la nostra Italia contro l'Irlanda nella seconda giornata del 6 Nazioni 2017? E' stata una partita a senso unico in cui ho nostri sono apparsi costantemente in difficoltà e mai in grado di potersi opporre a un'Irlanda ordinata e precisa.

Per commentare la prestazione, ho deciso di partire dalle reazioni di fine partita.

Molto professionale quella di Conor O'Shea, che in conferenza stampa ha ribadito non solo la fiducia alla propria squadra, ma anche la necessità di proseguire sulla strada intrapresa. Riguardo ai giocatori, parlavano più le loro facce delle bocche: cupe, frustrate, mostravano i segni del rifiuto, dicevano implicitamente: “Non possiamo accettare che le cose vadano così”. 

E' una reazione comprensibile e del tutto naturale, ma qui sta una delle sfide più importanti per ogni sportivo: quella dell'accettazione, del riconoscimento. Per risolvere i problemi è infatti necessario prenderne atto, cioè accettarli in tutti i loro aspetti. L'atteggiamento di rifiuto peggiora solamente la naturale frustrazione che segue prestazioni scadenti o non ottimali. La frustrazione peggiora a sua volta l'ansia da prestazione e questa rende impossibile il raggiungimento di una performance soddisfacente.

Accettare serenamente un rendimento negativo non dev'essere interpretato come una resa, ma piuttosto come una raggiunta consapevolezza di tutto ciò che dev'essere fatto per migliorare. Questo sarà un tema costante di questa rubrica: abbastanza semplice da raccontare, molto complicato da mettere in pratica.

Vorrei scrivere anche della reazione degli addetti ai lavori: giornalisti, allenatori, ex giocatori, dirigenti. Da queste categorie sono arrivate le critiche più aspre: in particolare, ho letto spesso commenti che biasimavano la cattiva qualità dei nostri giocatori. Si è detto e scritto: i nostri giocatori non sono abbastanza bravi per competere con gli altri. 

Oltre al fatto che queste considerazioni sono false in modo evidente (perché molti dei nostri giocatori hanno giocato, giocano o giocheranno all'estero oppure semplicemente perché in altre occasioni hanno dato ottima prova delle proprie capacità),  mi colpiscono un paio di cose.

La prima è che questi commenti, salvo rarissime eccezioni, non considerano gli aspetti mentali come fondamentali nella pratica sportiva di alto livello. Come se il cervello si occupasse solo della meccanica del corpo e non anche di tutto il resto.

Il secondo aspetto che mi colpisce è che per molti una squadra sembra essere solo una semplice somma dei suoi elementi. Prendete 15 ottimi giocatori e formerete sempre un'ottima squadra. E' così? Non sempre, anzi quasi mai. Le relazioni implicite ed esplicite che si creano all'interno di una squadra sono capaci di alterare completamente le prestazioni dei singoli. Al contrario, molto difficilmente un singolo o alcuni singoli giocatori sono capaci di cambiare il trend della prestazione complessiva di una squadra. 

Quest'ultima, infatti, è a tutti gli effetti un'entità a parte. Chi allena non prepara solo i singoli giocatori, ma anche la squadra nel suo complesso, che deve agire e reagire alle situazioni come una cosa sola.

Per concludere, molti si lamentano della qualità dei nostri giocatori. Potrebbe essere, invece, che nel nostro Paese il primo elemento da migliorare sia la consapevolezza di come far emergere tutta la qualità che c'è? 

 

Foto Alfio Guarise