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Mark Gordon Ella è nato a Sydney il 5 giugno 1959, l’ex stella dei Wallabies è tutt’ora considerato uno dei maggiori talenti all time del rugby australiano, dal 1988 al 1995 ha vestito la maglia del glorioso Milan, prima da giocatore e poi da allenatore.

L’intervista a Mark Ella è contenuta su Allrugby numero 143

 

“Come tutti, dopo che l’Inghilterra ha vinto con gli All Blacks ero convinto che avrebbe battuto anche i sudafricani in finale. Invece gli Springboks si sono meritati il titolo di miglior squadra al mondo: resilienti, metodici, nella loro vittoria non c’è traccia - evidente - di fortuna”. Il Mondiale giapponese è finito da un pezzo ma se si chiacchiera con Mark Ella non può che tornare un argomento di attualità, dato che il vero sconfitto dalla tenzone è proprio un suo caro amico, Eddie Jones: “Nel rugby moderno la differenza tra vincere e perdere è spesso responsabilità del coach. E Erasmus ha messo nel sacco Eddie, non c’è dubbio. Ma penso che l’Inghilterra si rifarà subito nel Sei Nazioni, sono i miei favoriti per la vittoria finale”.

Mark, non ne fa mistero, non ama il “torneo più antico del mondo”, ma in generale non è un big fan del rugby attuale: “cosa potete aspettarvi da uno come me? Im- maginate il gioco che ho frequentato e paragoniamolo a quello attuale: per me ci sono troppe punizioni, troppe mischie che collassano, troppi calci, soprattutto da parte dei mediani di mischia. A me talvolta viene da dormire con tutte queste corse per il campo che non portano a niente. Potrei andare avanti all’infinito ma preferisco finirla qui”.

E l’Italia?
“Come sapete, ho un enorme rispetto per il rugby italiano e sono deluso dal fatto che non sia cresciuto tanto quanto mi sarei aspettato. Credo voi siate troppo influenzati dalla Francia, un rapporto che a volte ha funzionato altre no. Penso che gli Azzurri abbiano bisogno di identificare il loro stile al posto di replicare un altro modello. Secondo me, la Fir dovrebbe puntare su approccio al gioco più australe, in grado di esprimere uno stile più chiaro ed esplicito. Anche perché sarà il futuro: il rugby europeo ha fatto molta strada negli ultimi anni, ma credo che l’emisfero sud, in particolare la Nuova Zelanda e il Sudafrica, migliorerà ancora stabilendo gli standard del rugby di domani. Ma prima di tutto questo, voi italiani avete disperatamente bisogno di better skills. In tutte le aree di gioco. Altrimenti non è possibile colmare il gap con le altre squadre di tier1”.


Credo voi siate troppo influenzati dalla Francia, un rapporto che a volte ha funzionato altre no. Penso che gli Azzurri abbiano bisogno di identificare
il loro stile al posto di replicare un altro modello. Secondo me, la Fir dovrebbe puntare su approccio al gioco più “australe”, in grado di esprimere uno stile più chiaro ed esplicito.


Ovviamente la conversazione con Ella non è limitata al gioco ma affronta anche il regolamento e l’invito a prendere provvedimenti è ovviamente rivolto a World Rugby, non ai protagonisti sul campo: “Molte regole creano confusione, non è un bene per gli addetti ai lavori e gli spettatori. Ma mi fermo qui: apparentemente ci sono tante persone sveglie e preparate che sono pagate per farlo che è inutile fornire stupide opinioni in merito”. L’unica concessione che Mark fa è destinata ai cartellini, protagonisti loro malgrado di Argentina v Inghilterra nella fase ai gironi del Mondiale e di Galles - Francia nei quarti. Anche lui è allineato con il partito di chi vorrebbe una sorta di cartellino “arancione”:  “Ai miei tempi essere espulsi era una rarità, ma non esistevano neanche i cartellini gialli. Però con la scusa della sicurezza il gioco sta diventando più confuso e le continue penalità rendono il rugby più difficile da guardare. Sicuramente arbitrare oggi è più complicato di ieri ma a volte vorrei si potesse distinguere maggiormente tra accidentalità e intenzionalità, magari trovando modalità alternative di penalizzazione. Ovvio gli high tackle vanno eradicati però evitiamo anche che il TMO e gli arbitri trasformino la partita in una continua videoanalisi: a volte si penalizzano i giocatori per episodi accidentali e chi ne fa le spese è il gioco, in termini di spettacolo”.

Ma il rugby si sta evolvendo?

“È una buona domanda: non credo che il gioco stia facendo passi in avanti. Abbiamo visto grandi match, grandi prestazioni a livello di collettivo ma le migliori cose sono arrivate dai minnows (le squadre di livello più basso, ndr): le squadre di tier 2 stanno migliorando, il che è fantastico, ma non è necessariamente causato dall’operato di World Rugby. Lasciando però da parte il gioco penso che Giappone 2019 sia stata un’edizione meravigliosa proprio perché al di fuori delle tradizionali nazioni del rugby. Il supporto della popolazione è stato al di sopra di ogni aspettativa e penso che la federazione internazionale dovrebbe seguire l’esempio e dopo Francia 2023 andare alla scoperta del continente americano: Argentina e Stati Uniti potrebbero essere le mete ideali”.

In conclusione non potevamo non toccare l’argomento Australia, una delle grandi deluse del mondiale, anche se l’uscita ai quarti - alla luce delle problematiche e del percorso di avvicinamento - era prevedibile. “Semplicemente non eravamo nel lotto delle squadre che per abilità e profondità potevano arrivare in fondo. È stato triste rendersene conto ma non avevamo proprio un team in grado di vincere. E ora ci aspetta un lungo periodo di ricostruzione, un quadriennio almeno. Anche perché il rugby nel nostro paese sta facendo ogni giorno passi indietro”.

 

 

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