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"Non è più il Galles dei minatori, ma anche i figli e i nipoti dei minatori, quando entrano in campo, non scherzano mica." (Giambattista Croci)

Alla fine degli anni ’80 e nei primi dei ’90 il Galles era una squadra allo sbando, che neppure da lontano somigliava alla nazionale che aveva dominato il mondo nel decennio precedente. Giocare in quel team, pur con tutti gli onori che implica, non era certo un’esperienza gioiosa e la dimostrazione sta nel fatto che anche un’ala forte ed esplosiva come Arthur Emyr ha finito la sua carriera con soltanto 4 mete all’attivo. E si che di classe il ragazzo ne aveva da vendere. Tra i molti che hanno indossato la maglia rossa in quegli anni bui, ben pochi possono vantare un orgoglio come il suo. Nonostante le poche vittorie conseguite, le sue volate sulla fascia sono state tra i pochi sprazzi di luce sotto il cielo cupo dell’Arms Park.


Arthur Emyr Jones è nato il 2 luglio 1962 a Bangor, nel nord del Galles, e ha studiato presso l’Aberystwyth University. Giocatore del Cardiff, del Llanelli e infine dello Swansea, Arthur ha fatto parte della nazionale studentesca, di quella universitaria e del Galles B. Atleta esplosivo e veloce, è stato aiutato dal fatto che, oltre a praticare il rugby, si è dedicato con successo anche all’atletica leggera: basta pensare che è arrivato terzo nei 100 metri ai giochi gallesi del 1988.

È stato l’anno successivo, esattamente il 18 marzo 1989, che Arthur ha esordito in nazionale contro l’Inghilterra al National Stadium di Cardiff, in una gara che, contro tutti i pronostici, il Galles ha vinto per 12 a 9. L’euforia della vittoria, però, sarebbe stata un’esperienza rara per Emyr, il quale in maglia rossa ha vinto soltanto altre tre volte, e mai contro le cosiddette “grandi nazionali”.

Già al suo secondo cap, il 4 novembre, egli ha visto la propria compagine umiliata dagli All Blacks di Wayne "Buck" Shelford a Cardiff con un sonoro 9 a 34. Il trequarti di Swansea aveva inizialmente spaventato gli ospiti e alla fine del primo tempo il Galles era sotto solamente per 6 a 12. I Dragoni, infatti, erano partiti bene e con un’azione mirabolante nata a metà campo avevano liberato Emyr sulla fascia sinistra. Egli ha rotto la linea di difesa, ma un placcaggio in extremis di John Schuster ha permesso alla difesa della Nuova Zelanda di riposizionarsi. È stato quello uno dei pochi momenti in cui i tifosi gallesi sono stati allietati dai propri beniamini. Poi, è uscita la classe dei campioni del mondo e non c’è stato più niente da fare.

Da quel momento è seguito un periodo infelice per il Galles, culminato nel poco onorevole Cucchiaio di Legno del 1990. Tuttavia Emyr, che in quella stagione è stato votato Player of the Year, ha aperto il conto con una bella meta contro la Scozia di David Sole, squadra che conquisterà il Grande Slam, portando a termine un’azione che ha messo in mostra tutto ciò che c’è di buono nel rugby gallese.

È stato solo in Namibia, alla fine dello stesso anno, che Arthur ha provato ancora le gioie del trionfo. Due gare vinte e due mete segnate. La seconda di queste, nel secondo test match, ha sigillato una vittoria convincente per 34 a 30.

Con la Coppa del Mondo del 1991 però, era dietro l’angolo un’altra cocente delusione. Convocato dal coach Alan Davies, Emyr ha sperimentato uno dei punti più bassi della storia del rugby gallese: la sconfitta per 13 a 16 rimediata contro Western Samoa. Come per la maggior parte dei suoi compagni, quel giorno anche Arthur è stato colpito duramente dalla ferocia dei placcaggi samoani. Ciò non ha impedito all’uomo di Bangor di marcare una delle due mete per la sua squadra (l’altra è opera del capitano Ieuan Evans), ma ciò non è bastato a portare a casa la vittoria.
La partita successiva del girone ha visto finalmente il suo quarto trionfo in carriera, la vittoria sull’Argentina per 16 a 7. Contro i futuri campioni del mondo dell’Australia invece, è arrivata l’ennesima pesante sconfitta: un 3 a 38 che ha impedito al team di Alan Davies di approdare ai quarti di finale. Purtroppo, in quella sfida con Wallabies, Arthur sarà sempre ricordato per il disastroso tentativo di calciare un drop, con la sua squadra già sotto di 30 punti. Un calcio praticamente rasoterra, che è finito fuori di un metro.

A quel punto Emyr ha salutato definitivamente la maglia della nazionale.

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Lo stesso anno l’ala ha lasciato anche lo Swansea. Per i Whites ha giocato 209 volte, tra il 1980 e il 1991, stabilendo un record ancora imbattuto di 154 mete.

Terminata la carriera sul campo, Emyr è entrato nell’industria dei media. È diventato direttore della redazione sportiva per la BBC Wales, come avevano già fatto prima di lui gli internazionali gallesi Cliff Morgan e Gareth Davies, carica che ha tenuto sino al 2001. Quindi, è stato coinvolto nello sviluppo dello sport in Galles con la Welsh National Assembly.

Arthur Emyr è stato in seguito il direttore gallese dei Giochi Olimpici del 2012.

 

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