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Un anno fa festeggiavamo la prima, storica vittoria dell'Italrugby con il Sudafrica. Il 6 gennaio 2017 scrivevo così in questa rubrica: “...la vittoria storica con il Sudafrica di alcune settimane fa appare come una conferma, ma anche come un bastone tra le ruote. E’ arrivata troppo presto? Un risultato troppo positivo, ottenuto prima di aver portato un cambio di mentalità permanente, prima di aver fatto toccare con mano il duro lavoro che c’è da portare a termine?”.

Sì, era proprio così, oggi posso dirlo con certezza senza sentirmi particolarmente “indovino”: quella vittoria era arrivata troppo presto per un gruppo impegnato a trovare espressione compiuta alla sua anima fragile.

Gli scienziati dell'apprendimento suggeriscono di porsi alcune precise domande per cercare di capire a che punto siamo in un processo di crescita. Le tre domande sono: Dove sto andando? Come sto andando? Qual è il prossimo passo? E dovrebbero guidare tutti noi quando ci mettiamo in testa di raggiungere un determinato obiettivo.

Dove sta andando l'Italrugby? Verso il grande rugby mondiale, questo è l'unico obiettivo possibile di un movimento che ci si è solamente avvicinato in isolate occasioni.

Come sta andando? Lentamente, com'è ovvio. La prestazione rugbystica è un mix di automatismi che richiedono molto lavoro e soprattutto richiedono di essere provati sotto pressione, in partita, per poterli affinare. Sarò ancora più drastico: gli automatismi che in allenamento sembrano perfetti, che fine fanno senza l'adeguata capacità di gestire la pressione? Si sfaldano, si perdono, vengono accantonati per la foga o per la frustrazione.

Qual è allora il prossimo passo? E' la domanda cruciale di questo periodo. Ora che c'è più concorrenza interna, che il lavoro fisico sta portando risultati, che ci sono giovani già pronti a salire palcoscenici internazionali (quelli di Zebre e Benetton), che le franchigie lavorano serenamente, che il rapporto personale con i giocatori è ben curato, stabilire quale sia il passo immediatamente successivo è fondamentale.

Cos'è che, arrivati a questo punto, può determinare un salto in avanti di prestazioni e risultati? Nao Kageyama della Juilliard School di New York, che lavora per migliorare la performance di musicisti di tutto il mondo, lo racconta così: cercare di dare sempre una sfumatura di novità alla propria prestazione. Perchè fare meglio di ieri vuol dire, a ben vedere, sapersi accettare per potersi sempre rinnovare, a partire dal più banale dei passaggi, dei calci o dei placcaggi.

 

Foto Alfio Guarise