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Articolo pubblicato su Allrugby numero 143

Il Blade Rugby sta correndo sulla lama di un rasoio sempre più affilato, nel nome dell’interesse, del profitto, del denaro, di una demolizione che i disgustosi politici italiani chiamerebbero rottamazione - senza sapere che il milanese “rutamat” era un mite robivecchi – progettando e costruendo mutanti e mutazioni che avranno vita breve, che verranno eliminate da qualche cacciatore spietato, e non sarà Harrison Ford, ancora dotato di cuore, che non è solo un muscolo che pulsa. Ogni giorno cronache che sembrano quelle marziane di Ray Bradbury. Anche là, in quelle pagine, in quella costruzione di sogni cullati e spazzati, gli affaristi si gettavano sul pianeta depredandolo, cancellando le oasi di pace, di pensiero, di contemplazione che i primi coloni avevano fondato. Qui e ora è molto peggio, è la sete di guadagno, di potere, è l’arrivo delle finanziarie che comprano il 27% di tutto quello che è disponibile per sprofondare le loro grosse chiappe nelle poltrone più capienti dei consigli d’amministrazione. La nostalgia dei vecchi parrucconi, dei vecchi scoreggioni – parole dell’irriverente Will Carling – è violenta e quei ricordi, come nella canzone d’autunno di Verlaine, “lacerano il cuore di un monotono languore”.

Il progetto va avanti: i prossimi ad essere colpiti saranno i British & Irish Lions 2021, quelli che andranno a battersi contro gli Springboks campioni del mondo nella terza avventura di Warren Gatland imbattuto da stratega: cinque affrettati match di riscaldamento tra il 3 e il 17 luglio contro franchigie e selezioni, tre test racchiusi in due settimane. I tempi dei safari, delle corali affidate ai gallesi canterini, delle serate alcoliche, dei trasferimenti avventurosi sono finiti per sempre. Due soli “Wednesday games”, due sole partite di mercoledì, quelle che hanno creato la leggenda dei “dirty trackers”, i battitori delle strade periferiche, dei match di preparazione lontano dai grandi stadi. Sembra di ripercorrere le malinconiche cadenze di Bruce Chatwin nell’indimenticabile introduzione alla Via per l’Oxiana di Robert Byron, sembra di rileggere la corrispondenza telefonata da Jan Morris per l’ultimo ammainabandiera a Hong Kong, sembra di aver appena letto l’ultima pagina della trilogia di Jane Gardam. Tutto sta sparendo senza le cadenze tra- giche di un crepuscolo degli dei. In realtà, è tutto molto semplice: la finale della Premiership è il 26 giugno 2021. Anticiparla? Neanche per idea. E attenzione, il 18 settembre si ricomincia.

Un tempo, neanche tanto lontano, il club che aveva un giocatore chiamato tra gli eletti in maglia rossa e stemma dalla ric- ca araldica, andava fiero per sempre di quell’onore. Ora, in questa calcistizzazione approssimativa e bastarda, l’onore è diventato un onere, una rottura. “E se poi si fa male? Lo stipendio lo paghiamo noi”. L’unico aspetto che può smuovere e risvegliare qualche sentimento d’antan è che il primo dei tre test sarà allo stadio di Soweto, con tutto quello che quel luogo significa, con la concreta possibilità che il record di 84.158 di Sydney 2001 venga superato, così come i 192.972 dei tre test australiani del 2013, la serie vinta dai Lions del primo Gatland capo spedizione.

 


La torre di Babele era un luogo ordinato: la costruzione procedeva secondo i tempi e non esisteva problema di comprensione tra le maestranze, sia quelle direttive che quelle operative. Qui e ora non si capisce più niente e il rugby, dopo anni di romantico assopimento, pervaso dal dolce sentimento dell’attesa, è diventato uno dei tanti terreni sul quale calano avvoltoi, corvi, dove accorrono iene, sciacalli, licaoni, dove tutto è cinicamente permesso.

Tramontato, per il momento, il progetto della Nations Cup, si affacciano scenari di una PP. Niente a che fare con il liquido organico utilizzato per l’antidoping, solo la possibile addizione Premiership più Pro14. Su due, su quattro conference? Con quante inglesi? Con quante scoto-gallo-irlandesi? Ci sarà spazio per le italiane? E le sudafricane che fine faranno? Non sarebbe meglio ammettere un paio di giapponesi, espressioni delle potenti corporazioni nipponiche? Da un po’ di tempo non si odono voci su una riforma del 6 Nazioni. Non appena entreranno in bilancio i soldi della Cvc qualcuno proporrà qualche stronzata: dieci sterline contro un pence, si diceva una volta. Il capitalismo, specie quello selvaggio, senza confini, senza remore, del nostro oscuro tempo, è disordinato, caotico ma dannatamente efficiente nel creare un mondo di lotofagi rincitrulliti, incapaci di reagire o bravissimi a partecipare a fitte discussioni sul nulla tramite la rete e i suoi perniciosi derivati, i social media.

 

Di Giorgio Cimbrico

 

 

 

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