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Abbiamo proseguito il percorso di interviste con i responsabili delle Accademie zonali, questa volta è stato il turno di Fabio Roselli (classe di ferro 1971),  il responsabile tecnico dell'Accademia di Roma prima che partisse per la Nuova Zelanda per la JWC 2014, quanto è emerso è molto interessante. Sopratutto per il fatto che secondo Fabio il progetto Accademie è molto valido, seppur perfettibile, ma è ancora poco conosciuto...Si è a conoscenza dell'esistenza delle Accademie ma non si è a conoscenza del tipo di lavoro che viene svolto.

A maggior ragione è stato interessante chiacchierare con lui dal momento che ha voluto dare ulteriore risalto a questo percorso formativo molto importante per il rugby italiano, prima di iniziare l'intervista gli abbiamo chiesto del suo percorso rugbystico per meglio capire il senso delle sue parole.

 

"Ho sempre giocato a Roma con la Rugby Roma che ha vinto lo scudetto nel 2000, ho giocato con la Nazionale, e la Nazionale a 7, successivamente ho iniziato a lavorare con la Nazionale italiana a 7, poi sono passato all’under 17 della Rugby Roma. Infine ho iniziato il percorso formativo seguendo i vari corsi federali grazie ai quali mi sono specializzato nel percorso di formazione del giocatore da quando è un bambino sino a quando diventa un atleta adulto. Percorso molto importante perché ci si deve confrontare con il processo di crescita in fasce di età che sono le più importanti, sarebbe incompleto trascurare queste esperienze..anzi è fondamentale curare il percorso formativo "dal bambino all’atleta evoluto" ".

 

Siamo oltre la metà del lavoro delle Accademie, come valuti quest’esperienza che avete avuto a Roma, avete sicuramente perso qualche atleta dirottato verso altre Accademie, come è andata?

"Siamo al quinto anno di esperienza a Roma, così come per Mogliano mentre quella che prima era a Parma ora è stata spostata a Remedello. Dopo 4 anni di lavoro veramente interessante, lavoro che ha portato tanti frutti, questa è stata un’annata abbastanza difficile perché con la nascita delle altre 6 Accademie tanti giocatori sono tornati nelle loro sedi (Campania, Abruzzo,Toscana..) quindi ci siamo trovati a inizio stagione un po’ in difficoltà a livello di numero di giocatori che potevano far parte dell’organico.

Altra problematica è stata che sia io che Victor Jimenez, essendo assistenti della Nazionale Under 20, siamo stati “fuori” per oltre 100 giorni, in pratica per una settimana ogni mese, durante il 6 Nazioni di categoria siamo stati pochissimo in Accademia quindi è mancato il lavoro quotidiano che ha dato tutti i suoi frutti nei 4 anni precedenti".

 

Cosa pensi possa dare questo tipo di lavoro continuativo con i ragazzi?

"Il lavoro delle Accademie è fondamentale perché permette ai giocatori di lavorare quotidianamente di quantità e di qualità, tutti i giorni fanno una media di 3 ore di allenamento che comprende la parte fisico-atletica, un pochino la parte mentale e la parte rugbystica. Strutture o club che hanno la possibilità di far fare questo tipo e quantità di lavoro ai ragazzi non ce ne sono, quindi l’Accademia, passami il termine, sicuramente funziona. Se vogliamo arrivare a un certo livello la strada è solo una, bisogna fare ogni giorno tot ore di allenamento. Portata a regime può dare i suoi frutti, lo vediamo anche nei giovani che si sono affacciati nella Nazionale maggiore , nelle franchigie e nelle prime squadre, la maggior parte di loro sono atleti che hanno fatto il percorso delle Accademie. Indubbiamente giocatori che arrivano a un certo livello sono dotati di talento ma il talento va coltivato, la quantità e la qualità dell’allenamento sono una componente imprescindibile se vogliamo arrivare a uno standard di eccellenza".

 

Secondo te come sarebbe migliorabile il format delle Accademie?

"Il lavoro degli allenatori e dei preparatori, di coloro che operano all’interno può essere migliorato di continuo perché il rugby cambia, perché le società cambiano, perché il mondo cambia e si evolve quindi anche gli allenatori devono assolutamente aggiornarsi, devono pensare al futuro piuttosto che ancorarsi al presente.

A livello pratico, alle Accademie zonali arrivano ragazzi che hanno 16 anni ed escono quando ne hanno 18 circa, sicuramente se a quest’età vogliamo avere dei giocatori già formati e di un livello qualitativo più alto vuol dire che dobbiamo iniziare prima. I più alti margini di miglioramento si hanno quando sono più piccoli, diventa fondamentale tutto il lavoro che fanno le società sul territorio, è sempre stato fondamentale. La Federazione ha creato queste strutture ma è pur vero che il rugby italiano non può cambiarlo solo la Federazione ma lo cambiano i club. Il territorio deve lavorare bene, meglio lavora migliori sono i risultati".

..riprendendo un concetto espresso da altri tuoi colleghi, bisogna lavorare in sintonia, in sinergia, bisogna fare in modo che i club accettino di formare giocatori in modo che vadano alle Accademie..

"Assolutamente, ciò non toglie che se un club avesse la possibilità di fare lo stesso lavoro dell’Accademia in termini di quantità e qualità in quel caso l’Accademia in sè servirebbe di meno. Il format Accademia è nato per aiutare quei club che non hanno la possibilità di fare un lavoro in termini quantitativi e qualitativi di pari livello, non credo che la Federazione abbia avuto l’intenzione di sostituirsi ai club. Sicuramente tutti devono condividere ed essere d’accordo con questo progetto altrimenti ci saranno sempre delle difficoltà".

 

Un’ultima domanda...l’attività Seven...il Seven era divertimento una volta terminata la stagione a XV. Sappiamo già che è propedeutica ed è già contemplata nell’attività dell’Accademia. Secondo te cosa può dare in più a dei giocatori di rugby che si stanno “sviluppando”, che importanza può avere?

"Io ci credo molto tant’è che ho iniziato la mia carriera come allenatore della Nazionale Italiana a 7. Purtroppo la Federazione tanti anni fa lo vedeva con meno importanza, ora le cose stanno cambiando ma  il seven non ha ancora la stessa importanza che per alcune federazioni straniere. Un giocatore che si sviluppa anche sul 7 ha grossissimi margini di crescita sotto il profilo tecnico, ma anche sotto il profilo tattico (ad esempio il gioco sugli spazi allargati) per non parlare della preparazione fisico-atletica. Sono convinto che sia un’attività importantissima, soprattutto nello sviluppo dei giocatori nei settori juniores….certo che ogni club poi ha le sue esigenze di gioco a 15.

Anche se il 7 ha una connotazione “più goliardica”, vincere o perdere un torneo non è la stessa cosa…quando io ho fatto Hong Kong, le tappe dell’Irb, quando ho iniziato a giocare a 7 con la Rugby Roma e (Wayne “Buck”) Shelford ci ha portato a Dubai mi sono accorto che il livello era veramente altissimo e non era possibile prendersi pause di riposo, costantemente costretti a vivere situazioni tecnico-tattiche di altissimo livello. Ti ripeto, ci credo molto. Anche se penso che sia tutto legato ai numeri, il numero dei tesserati italiani è aumentato molto ma abbiamo ancora pochi numeri nei confronti delle altre nazioni. Una squadra con 25/30 tesserati per il XV fa fatica a togliere una parte di loro e farli lavorare sul 7, il problema è anche questo...legato alla crescita costante del numero dei praticanti".

 

Fabio, grazie mille per la nostra chiacchierata e in bocca al lupo per la Coppa del Mondo!!!

 

"Grazie a voi e crepi il lupo!"

 

Il campionato delle Accademie Zonali

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