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Le modalità di approccio della FIR alle questioni che interessano i nazionali di rugby ci appare a dir poco inopportuna.
E’ fin troppo facile soffiare sul fuoco dei risultati negativi dell’ultimo 6 Nazioni (contro Galles e Francia, n.d.r.) per cavalcare l’onda della presunta “meritocrazia”.
Tutta colpa dei giocatori, si allude da parte di qualcuno, se le cose vanno male, e non conseguenza di come è oggi strutturato il movimento (a partire dalla preparazione di tecnici e dei dirigenti, per continuare con il sistema delle Accademie, sino ad arrivare al livello non competitivo dell’Eccellenza).

Ad ogni modo, letti giornali ed i blog sembra trapelare dalle parole di Alfredo Gavazzi un verosimile intento: vincere il mondiale anche se si perde. Da che punto di vista? Quello economico, ovviamente (tutto il resto viene messo in secondo piano). Se la Nazionale perde sul campo, allora non si spendono denari e la colpa del fallimento sportivo sarà solo dei giocatori. Se la Nazionale vince sul campo allora si spendono denari (ma se ne guadagnano anche) ed il merito delle vittorie sarà riconducibile alla strategia federale dei “premi”.

Non ci siamo, e, soprattutto, non ci stiamo.
Ridurre tutto ad una questione di cifre, peraltro sbandierate ai quattro venti, magari per accattivarsi la simpatia dell’opinione pubblica contro i giocatori (pensionati?), è iniziativa da porre subito nel dimenticatoio.

Ma andiamo con ordine.

1) Innanzitutto non è affatto chiaro se le dichiarazioni rilasciate dal Presidente Gavazzi siano delle pure esternazioni a titolo personale o se diano attuazione ad una determinazione/delibera del Consiglio Federale. 
Nel primo caso si potrebbe anche soprassedere su certe “provocazioni”, vista la non ufficialità delle stesse. Nel secondo caso ci si troverebbe di fronte ad una nuova linea politica federale che, tuttavia, andrebbe ad inserirsi in un contesto confuso ed ibrido. Confuso, perché non si capisce se dirigenti e federali saranno anch’essi sottoposti ad un principio meritocratico (…), e quali modifiche del sistema si adotteranno per riadattare la struttura dell’alto livello. Ibrido, perché si vorrebbe dare un taglio “professionistico” ai rapporti tra Federazione e giocatori (richiamando le regole di altre Unions), senza tuttavia togliere la veste di “dilettanti” attribuita a questi ultimi.
Siamo alle solite: si vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Poi se in conti non tornano, colpa della moglie…

2) In secondo luogo, ci si ripete nel dire che mettere in piazza cifre e questioni contrattuali che riguardano i giocatori (e la loro sfera privata) non è edificante. E’ chiaro che in un periodo di crisi economica sentir parlare di certe somme, a fronte peraltro di risultati negativi, non può che fomentare una certa reazione di stizza nel pubblico. E infatti basta leggere alcuni commenti alle recenti pubblicazioni dei blog per vedere quanto bene stia riuscendo l’operazione-antipatia avviata dalla FIR. Quelli che fino a pochi giorni addietro avevano l’immagine di sportivi combattenti, rispettati dagli appassionati a prescindere dalla posizione raggiunta nel ranking mondiale dalla Nazionale, ora vengono presentati come giovani viziati o addirittura baby-pensionati. Complimenti per il marketing.

3) In terzo luogo le cd. “rivoluzioni” vanno preparate nel tempo e seguendo i corretti iter decisionali, non certo servite dall’alto in fretta e furia. 
Si vuole abbracciare un sistema meritocratico? Va bene, ma allora bisogna rivedere tutto il complesso dei rapporti tra giocatori e FIR: garanzie assicurative, sfruttamento dei diritti d’immagine, diritti e doveri contrattuali, etc. Poi vengono anche i soldi. 
In ogni caso la meritocrazia non può riguardare solo i giocatori: anche un presidente che sbaglia, o un tecnico non all’altezza, o un dirigente incapace, debbono rimettersi alla stessa logica, per una questione di equilibrio del sistema.

4) Da ultimo, parliamo di vile denaro. I ragazzi della nazionale - tra i vari impegni legati al mondiale - dovranno assentarsi da casa per circa tre mesi. Si vuole che lo facciano gratis, o meglio a rischio gratuità? Magari si, ma allora si dovrà prevedere la possibilità per i giocatori di rifiutare la chiamata in nazionale, per privilegiare altri impegni che loro, DILETTANTI, devono affrontare per mantenere le rispettive famiglie.
Si torna sempre allo stesso punto: se si pretende dai giocatori il professionismo, allora bisogna “trasformarli” in professionisti. Troppo facile appigliarsi al fatto che i rugbisti sono dilettanti quando si tratta dei loro diritti, e professionisti “di fatto” quando invece si passa a considerare i loro obblighi.
E poi: i compensi pagati dai club celtici debbono rientrare in un calderone unico con quelli pagati dalla nazionale? Non è escluso, ma allora intanto la FIR tiri fuori i soldi persi dai giocatori ex Aironi a causa del fallimento della società sportiva (sulla solidità economica e finanziaria della quale la FIR aveva un preciso obbligo di vigilanza attiva), quindi stabilisca come regolare i rapporti con i giocatori che militano all’estero (e non nelle franchigie italiane) e con i permit player, e via discorrendo.

In conclusione: le recenti sconfitte sul campo non debbono fungere da scusante per avviare una gestione della nazionale al risparmio. I giocatori sono pronti a confrontarsi, forti anche della collaborazione continuativa con IRPA, RPA, ed altre associazioni giocatori, ma nei tempi e nei modi consoni.

Federico D’Amelio
Vice-presidente e legale dell’associazione

 

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