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La notizia della morte di Jonah Lomu è arrivata come un fulmine a ciel sereno, tutti noi sapevamo della sua malattia ma lo avevamo visto testimonial alla Rugby World Cup 2015 e avevamo forse dato per scontato che il più grande personaggio che la storia del rugby conosca fosse inossidabile.

Fa tenerezza pensare all’incontro con l’altro grande malato reduce della finale RWC del 1995, Jonah era andato a trovare l’amico rivale Joost van der Westhuizen in Sud Africa. Toccante l’incontro testimoniato nel film documentario “Back to South Africa” encomiabile il modo con il quale Jonah incoraggia l’ex mediano di mischia Springboks campione del mondo dicendogli che devono lottare tutti i giorni contro la malattia per poi salutarlo con un “love you”!

Toccante la risposta di Joost in un tweet alla notizia della morte “Difficult to write with eyes full of tears on my eye tracker. Thank you for EVERYTHING Jonah. RIP my dear friend!”

“Difficile scrivere con gli occhi pieni di lacrime sul mio tracciatore oculare. Grazie per TUTTO Jonah. RIP mio caro amico”

Joost van der Westhuizen è malato di sclerosi laterale amiotrofica e relegato su una carrozzina.

Altrettanto il messaggio di Dan Carter “Would of done anything to have played a test with him. Gone way too soon my brother #ripjonah”

“Avrei dato qualsiasi cosa per giocare un test con lui. Ci hai lasciato troppo presto fratello #ripjonah”

Questi solo un paio di esempi di affetto e dell’importanza che ha avuto Lomu nel panorama rugbystico globale. Jonah è stato il game changer assoluto del rugby, prima di lui era uno sport amatoriale importante e seguitissimo nei paesi “anglosassoni” ma pur sempre amatoriale e con il grosso rischio di fuga da parte delle grandi star verso il professionismo del rugby a 13.

Il rugby con lui e dopo di lui è definitivamente cambiato, Jonah per le sue incredibili doti fisiche, lo stile di gioco e il “tremendo” impatto che ha avuto sul gioco, nell’immaginario collettivo le 4 mete all’Inghilterra in semifinale e la “passeggiata” sopra Mike Catt sono l’esempio dello strapotere e della dominazione, è stato il primo atleta globale, la prima vera grandissima superstar del rugby. Alla parola rugby rispondeva l’immagine di Lomu.

Nella stessa maniera ha influenzato più di una generazione di rugbysti, me compreso, molti dei quali si sono innamorati definitivamente di questo meraviglioso sport proprio per averlo visto giocare.

Il ricordo più vivo di Lomu per noi italiani è l’ottobre 1995 quando gli All Blacks freschi di finale di RWC approdarono al Dall’Ara di Bologna per sfidare l’Italia. Personalmente venivo dal turno di notte al militare e appena “smontato”, mi sono caricato in macchina compagno di leva, mio fratello e partiti da Milano siamo corsi a Bologna a vedere i miti e il mito. Per strada ci siamo “dovuti” fermare a caricare altri rugbysti, la fila si è ingrossata sugli spalti del Dall’Ara dove abbiamo visto l’Italia reggere nel primo tempo e affondare definitivamente nel secondo. Ma la quota tecnica era troppo differente anche per un’Italia di grande spessore come quella.

Di quella partita, di Jonah e del grande Ivan Francescato (due rugbysti che non ci sono più purtroppo) ci racconta molto bene Elvis Lucchese nel suo Venetoblog sul Corriere del Veneto

“Un solo avversario Ivan non è riuscito a placcare. Era il 28 ottobre 1995, un sabato di sole a Bologna. 28 mila spettatori al “Dall’Ara” per vedere l’Italia ma soprattutto per vedere gli All Blacks e Jonah Lomu....

 Gli All Blacks sono una squadra di un altro pianeta ma nel primo tempo non dilagano. Lomu tocca palla un paio di volte e non ha il tempo di prendere velocità, Vaccari e Bordon lo fermano, strappando applausi. Al riposo il tabellone segna 6-20…..

E’ nella ripresa che i neozelandesi si scatenano. Sei mete, e Lomu ne fa due. Alla sua maniera: asfaltando gli avversari, chiedere agli inglesi se ne sanno qualcosa.Georges Coste: «Cercammo di affrontare gli All Blacks senza rinunciare al nostro gioco. Ma loro ci erano davvero superiori. Lomu era un giocatore che faceva storia a parte. Ad un certo punto lo ricordo con Ivan attaccato ad una gamba e Paolino Vaccari sulla schiena: Lomu continua ad andare avanti, a premere sulle gambe, trascinando i nostri con sè».

Le storie di Ivan e di Jonah un po’ si somigliano. Tutti e due ragazzi di periferia, la strada come palestra. Per Ivan San Giuseppe, a Treviso. Dall’altro capo del mondo, per Jonah, Mangere, un sobborgo di Auckland

Nella sua autobiografia così Lomu ha ricordato la sfida di Bologna. «A Bologna giocai la mia prima partita come professionista, quel match fu il primo al mondo a essere giocato con le nuove regole. E i soldi me li sono anche guadagnati tutti! Gli italiani erano una squadra molto aggressiva e fu una delle poche volte nella mia carriera che tirai qualche pugno. Ci furono scorrettezze per tutta la partita e persi la calma quando due dei loro giocatori tentarono di fermarmi con placcaggi non proprio regolamentari».

Un bel sunto del peso e dell'importanza di Lomu ce lo dà Fabrizio Zupo sul Mattino di Padova

Ma torniamo al 1995 per un attimo. Quando tutto è cambiato nel lasso di quelle sei settimane sudafricane. Prima c’era: il dilettantismo, l’apartheid che escludeva una superpotenza ovale, i talenti più forti lasciati emigrare in Italia (CampeseKirwanLynagh e le due aperture protagoniste della finale di Johannesburg, Merthens e Stransky, raccontata in Invictus da Clint Eastwood) sorta di franchigia per evitare la fuga verso il rugby a 13 professionistico. Durante e dopo: il trionfo politico sportivo di Mandela, il Sudafrica che si sgancia dalla guerra civile, l’annuncio dell’era Pro del rugby ad agosto, Murdoch che annuncia i diritti decennali del torneo delle tre potenze del Sud. Il rugby diventa il terzo evento mondiale dopo Olimpiadi e Calcio. E chi fa da testimonial di tutto questo? Jonah Lomu. Neppure uno sceneggiatore hollywoodiano avrebbe potuto scrivere quella sviluppo. La storia passò sotto il naso dei tifosi e Lomu con il tempismo di un sprinter strappato all’atletica leggera si trovò inquadrato sul palcoscenico. E venne proiettato a una fama globale di cui neppure lui avvertì la potenza.

Il lieto fine non c’è stato «Vorrei vivere fino a quando i miei figli avranno 21 anni quando io ne avrò 55 – aveva detto in agosto a Londra dove si apprestava a vivere da spettatore privilegiato tutto il recente Mondiale – se succederà potrò dire di essere stato un uomo fortunato».

Siamo tutti molto tristi ma ai nostri occhi lui rimarrà il mito, colui che ha segnato 7 mete nella prima Rugby World Cup disputata e 8 alla seconda, colui che ha segnato una meta alla Francia con 5 avversari attaccati alle caviglie, il cui record fatto in sole due edizioni non è stato giustamente battuto da Habana.

Jonah ha passato la palla ma intanto ha fatto innamorare tutti noi del gioco e tutto il mondo del rugby!

Grazie!!!

 

MC

Foto Twitter All Blacks

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